martedì 21 dicembre 2010

Catricalà su disagi per maltempo

DICHIARAZIONE DEL PRESIDENTE DELL'AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO ANTONIO CATRICALÀ
   È inaccettabile che un po’ di maltempo, previsto anche se intenso, abbia causato i disagi che migliaia di cittadini hanno subito nei giorni scorsi sulle strade e le ferrovie di uno dei Paesi tra i più industrializzati del mondo. Per questo proporrò immediatamente al Collegio di avviare un’istruttoria nei confronti delle società che potrebbero non avere fornito ai viaggiatori le informazioni necessarie a scegliere se partire o no.
   Si tratta di un principio fondamentale del Codice del Consumo che l’Antitrust ha già applicato, sanzionando le società concessionarie del Passante di Mestre per l’ingorgo creato in occasione dell’esodo dell’agosto 2009. Il Tar, a riprova della scarsa sensibilità del Paese nei confronti della tutela dei consumatori, ha annullato quelle sanzioni: stiamo già preparando il ricorso al Consiglio di Stato perché i cittadini e le associazioni dei consumatori non possono essere lasciati soli di fronte alla disattenzione dei monopolisti concessionari di servizi pubblici fondamentali.
Roma, 19 dicembre 2010


Gli elementi di uno spot televisivo

Commento al provvedimento n.21828 del 24 novembre 2010 dell’Autorità di Garanzia della Concorrenza e del Mercato (A.G.C.M.)

Con il citato provvedimento del 24 novembre 2010, l’autorità Antitrust ha avuto modo di valutare il contenuto di un insidioso contratto telefonico, i cui elementi avevano la caratteristica di incidere in maniera indiretta ma fondamentale sui più importanti aspetti economici dell’offerta.
Il contratto in questione è quello chiamato “Tim Premia”, pubblicizzato con lo slogan (su Tv, stampa ed Internet) “10€ ad ogni ricarica”. E’ fondamentale in questo caso, per ciò che argomenterà l’Autorità, intendere bene le caratteristiche del messaggio pubblicitario, costituito da “una story board, della durata di circa due minuti, di cui sono protagonisti i giovani componenti di una band musicale itinerante. Mentre sullo schermo scorre l’indicazione: “Tim Premia, 10€ in regalo verso tutti gli operatori”, una voce fuori campo illustra il contenuto della promozione mediante affermazioni, quali: “Tim Premia la nuova tariffa di Tim che ti premia sempre, come? Beh facile, ogni volta che ricarichi di almeno 20 euro, Tim ti dà 10 euro in più per chiamare tutti, regalati, sembra incredibile vero? […]”. Nella sezione sottostante, con minore evidenza grafica rispetto ai claim principali, compare il super : “il bonus vale 30 gg.. Bonus max 150€/ mese. Per conoscere tutte le condizioni anche tariffarie dell’offerta chiama il 119” ”.
Quello che viene quindi lamentato dai consumatori e dalle Associazioni denuncianti, è che, in realtà, l’adesione alla promozione comportava la variazione del piano tariffario originario del cliente, “a sua volta implicante un costo di 6 euro (rimborsato, per le attivazioni effettuate entro il 31 luglio 2009, mediante accredito di traffico telefonico), nonché l’applicazione di una tariffazione unitaria delle chiamate alquanto onerosa e basata su scatti anticipati di sessanta secondi e addebito dello scatto alla risposta”.
Telecom si difendeva, quindi, evidenziando, tra l’altro, che il messaggio pubblicitario faceva comunque riferimento alla “nuova tariffa di Tim”, specificazione che sarebbe stata sufficiente a richiamare, sul punto, l’attenzione di un consumatore mediamente attento.
Sentito preventivamente il parere dell’AGCOM (l’Autorità sulle Comunicazioni), favorevole all’individuazione di una condotta scorretta ed ingannevole, l’Autorità Antitrust concludeva per la condanna di Telecom ad una sanzione amministrativa di € 75.000, diventate € 95.000 per ‘recidiva’ del soggetto multato, per pubblicità scorretta ai sensi degli artt. 20, co.II, e 22 Codice del Consumo.
Quel che qui interessa, tuttavia, non è tanto il risultato dell’indagine e della successiva condanna, quanto le modalità di valutazione degli elementi del contratto da parte dell’Autorità.
Nel caso di specie, infatti, ricordiamo che lo spot televisivo faceva, effettivamente, pur sempre riferimento alla ‘nuova tariffa di Tim’, argomento giustamente sottolineato dalla difesa della Società telefonica, il cui contenuto poteva essere, in astratto, ritenuto sufficiente a ‘destare l’attenzione’ del consumatore destinatario del messaggio pubblicitario.
Ma l’Autorità supera tale argomentazione non tanto da un punto di vista meramente ‘formale’, ovvero verificando se in effetti tale dizione potesse o meno, nella sua lettera, soddisfare i criteri della corretta informazione, ma bensì ‘sostanziale’ del messaggio pubblicitario nel suo insieme, che costituisce l’aspetto più interessante della pronuncia, di cui ne sottolineiamo i concetti più importanti.
Contrariamente a quanto sostenuto da Telecom, specifica l’Autorità del Mercato, l’effetto ingannevole della citata omissione informativa non può ritenersi in alcun modo sanato dall’asserita evocazione, nel messaggio televisivo, della novità della tariffa (“La nuova tariffa di TIM”). Sia per la brevità che per le modalità di veicolazione utilizzate (poche parole all’interno di uno spot assai più lungo, pronunciate da una voce fuori campo e senza il supporto di alcuna evidenza visiva) il riferimento risulta infatti del tutto inidoneo a evidenziare ai destinatari, con sufficiente chiarezza, che l’adesione all’offerta implica in realtà l’attivazione di un nuovo articolato piano tariffario, basato su costi unitari e criteri di addebito verosimilmente diversi e potenzialmente meno convenienti rispetto al piano originario dell’utente. In proposito, va rilevato che la complessiva impostazione del messaggio tende ad accreditare “Tim premia” – sin dalla sua denominazione – come un’opzione tariffaria e non come una nuova tariffa che andrebbe a sostituire la precedente. In ciò il messaggio rivela un correlato aspetto decettivo, in quanto, nel pubblicizzare una nuova tariffa, non sono stati evidenziati con adeguata e contestuale evidenza grafica non solo gli aspetti positivi (ossia il bonus di “10€ in regalo verso tutti gli operatori”), ma anche gli altri elementi che compongono la tariffa stessa quali le generali caratteristiche di tariffazione che prevedono, tra l’altro, nella fattispecie, l’addebito dello scatto alla risposta (almeno nella sua versione base) e una tariffazione a scatti anticipati di sessanta secondi”.
Come si anticipava, questa pronuncia rappresenta una sintetica ma vera e propria miniera di criteri interpretativi che, ci suggerisce l’Autorità, si dovrebbero applicare nella valutazione di uno spot televisivo pubblicitario, e non solo.
Proviamo ad elencarli.
a)      Il più importante, è quello della valutazione della “complessiva impostazione” del messaggio pubblicitario, ovvero il valutare tutti gli elementi del messaggio nella loro globalità e nel loro rapporto, e non già presi singolarmente (nel caso di specie, la dizione della ‘nuova tariffa di Tim’);
b)      c’è poi la valutazione dei ‘tempi’ del messaggio: se la dizione della clausola è ‘troppo breve’ rispetto all’intero spot ‘assai più lungo’, tale circostanza è di per sé rilevante ed autonomo elemento di valutazione;
c)      c’è poi, importantissimo, il ‘metodo di veicolazione’, e sul punto il provvedimento è davvero esemplare, separando quanto succede ‘a video’ e quanto viene indicato dalla ‘voce fuori campo’. Qui l’Autorità dimostra una profonda conoscenza degli ‘strumenti del comunicare’, avendo piena consapevolezza che il contenuto di una ‘voce off’ può essere di fatto annullato da immagini che ne contraddicano il senso.
d)      Nella pronuncia viene quindi anche ben illustrato il meccanismo c.d. ‘decettivo’ (i.e. ingannevole) dello spot, sottolineando una ‘evidenza grafica’ che non gestisce con equilibrio gli ‘aspetti positivi’ (per il consumatore) con gli ‘altri elementi’ che caratterizzano l’offerta. Anche in questo caso, l’attenzione posta da parte dell’Autorità sugli aspetti grafici dello spot, è indicativa di una analisi di natura giuridica che viene effettuata, similmente a settori specifici quali il diritto d’autore ed il diritto industriale, su elementi non meramente letterari della comunicazione, in un settore dove il ‘contenuto’ è altro rispetto a quanto detto o scritto.
e)      Ma l’Autorità fa ancora di più, trattando sin anche l’elemento letterale come un aspetto ‘decettivo’, in quanto ‘tende ad accreditare’ l’offerta, anche nella sua ‘denominazione’, come un’opzione tariffaria, e non già come una nuova tariffa.
L’attenzione dell’Autorità rivolta a tali elementi della comunicazione pubblicitaria, fa quindi ben sperare in ordine all’evoluzione della interpretazione del messaggio pubblicitario nella materia consumeristica, di cui sottolinea, in maniera anche nuova, aspetti certamente difficili e sfuggenti da valutare, sui quali si dovrà approfondire una riflessione tecnico-giuridica.
Ma a questo punto potrebbe sorgere anche un'altra tipologia di considerazioni: a quando una analisi degli elementi grafici di un contratto cartaceo? Quanto bisognerà aspettare per vedere sanzionato un contratto, le cui clausole a favore del professionista non sono evidenziate come quelle ‘positive’ per il consumatore e sono scritte in un font microscopico o comunque più piccolo di quello in cui sono scritte le prime?
Probabilmente, questa pronuncia dell’Autorità pone serie basi, quantomeno teoriche, per tali possibili sviluppi.

Avv. Antonio M. Polito

lunedì 13 dicembre 2010

Download 'facile'? Forse, ma certamente non gratuito!

I raggiri di ‘easy-download.info’

Easy-download.info’ è il nome di un sito registrato in Arizona (U.S.A.) appartenente ad una società (Euro Content Ltd) con sede legale in Inghilterra, un (unico) ufficio in Germania (Francoforte), con server delle sue pagine web in Olanda (Leaseweb B.V.), un conto corrente presso una banca cecoslovacca (dal nome impronunciabile) ed un numero di fax ‘romano’ (prefisso 06, che però ‘gira’ le comunicazioni in Germania via e-mail).
Fin qui, nulla di strano, per una società che opera unicamente sul web. Il problema, però, è che commercializza (anche) in Italia attraverso il suo sito, che viene raggiunto se, su ‘Google’, provate a cercare qualcosa tipo ‘software gratis’, ‘download gratis’, e insomma programmi in qualche modo ‘gratuiti’.
            Vi troverete, quindi, nel giro di massimo due o tre ‘link’, sul sito di registrazione ai servizi ‘easy-download.info’, attraverso il quale, dando il vostro nome, cognome, mail ed indirizzo, potrete accedere alle pagine in cui effettuare il download gratuito di software.
            Per attivare il servizio, vi arriverà però anche una mail di conferma, che ovviamente NON leggerete, e che, in un suo allegato, vi dirà che il servizio al quale vi siete testé iscritti, per almeno 24 mesi, costa la modica cifra di € 8,00 al mese, con pagamento anticipato annuale per € 96,00, e che potrete recedere dal contratto entro 10 giorni dalla stipula.
            Poi silenzio. Voi scaricherete belli contenti i programmini che cercavate (e che potevate trovare davvero gratuitamente anche su altri siti, ad avere un po’ più di pazienza), e magnificherete ai vostri amici la ‘potenza di internet’…
            Dopo circa una ventina di giorni, però, vi sarebbe arrivata una e-mail da parte della società anglo-olando-tedesco-italo-cecoslovacca, nella quale vi si intimava il pagamento di 96 euro, a cui avrebbe fatto sèguito un primo ‘sollecito’ via e-mail ed un secondo via posta ordinaria (intitolato ‘avviso urgente – ULTIMO SOLLECITO’), in cui, oltre ad ulteriori € 5,00 per rimborso di ‘spese’, vi sarebbe stato intimato, in caso di vs. ulteriore inadempienza, il ricorso alle vie giudiziarie.
            E voi, molto probabilmente, da persone oneste quali siete, avreste pagato per dei programmi gratuiti.
            Questa brutta storia è stata recentemente (e fortunatamente) raccontata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che, grazie alla segnalazione di migliaia di consumatori e di alcune associazioni, ha aperto un’inchiesta ed ha condannato ‘easy-download.info’, per pubblicità scorretta ed aggressiva, ad un’ammenda di 960.000,00 euro e a pubblicare sul suo sito un estratto della delibera di condanna per 30 giorni.
              Sarà, ma il sito è ancora lì, e della condanna ricevuta, sul sito, non v’è alcuna notizia (forse perché i trenta giorni sono passati). Fate una ricerca con Google (o cliccate il titolo del post)…                                                                                  Avv. Antonio M. Polito

giovedì 9 dicembre 2010

Misura la velocità di Internet: il software ufficiale

Sul sito dell'AGCOM, è finalmente disponibile il link (cliccare sul titolo) per scaricare il software (chiamato Ne.Me.Sys) che misura la velocità di Internet con valore di certificazione per eventuali contestazioni.
Prima di scaricarlo, è necessario iscriversi al servizio specificando nel dettaglio dati personali e modalità dell'abbonamento. Sul sito dell'AGCOM è anche presente un video-tutorial all'utilizzo del software.
A breve, qui sul blog una valutazione del servizio.

Cittadinoeutente.it

E' con particolare piacere che comunichiamo la presentazione ufficiale dell'Associazione 'Cittadinoeutente.it'.
Dopo circa un anno di preparazione, e dopo l'apertura di un blog (poi transitato, per problemi del gestore del sito a mantenerlo, a questo indirizzo), l'Associazione ha aperto il proprio Sportello del Consumo in Cirié, nella provincia di Torino, lo scorso lunedì, 6 dicembre, alla presenza degli organi di stampa.
L'apertura dello Sportello, si è certi, rappresenterà un momento fondamentale dell'attività dell'Associazione, che se da un lato continuerà a sviluppare sul web (blog, twitter, sito) l'approfondimento e l'informazione sulle tematiche consumeristiche, dall'altro potrà rappresentare un luogo concreto di verifica, analisi ed informazione sulle questioni personali degli avventori, momento fondamentale per una concreta tutela.
Oltre poi all'apertura del sito (al momento semplice, se non 'spartano', ma chiaro), l'Associazione conta, a breve, di poter essere ospitata anche su organi di stampa locali, per rispondere direttamente ai quesiti inviati da quei lettori poco adusi ad utilizzare il mezzo informatico o ad inviare quesiti via e-mail.
Dalla settimana prossima, pertanto, questo blog verrà aggiornato almeno due volte per settimana ed il servizio twitter ('cittadinoutente') comunicherà notizie quotidianamente, dal lunedì al venerdì.
Quindi, come dicono gli americani, 'stay tuned' e a rileggerci a presto.

lunedì 15 novembre 2010

Guida alla garanzia legale del consumatore

Il 13 novembre u.s., l'Autorità Garante della Concorrenza e dei Mercati, sul suo sito (agcm.it), ha pubblicato una breve guida per i consumatori sulle 'garanzie legali' inerenti l'acquisto di prodotti difettosi. Se ne riporta il contenuto integrale:


GARANZIA LEGALE SUI BENI DI CONSUMO:
ECCO I DIRITTI DEI CONSUMATORI  
1) Che cos’è la garanzia legale - La garanzia legale di conformità è prevista dal Codice del Consumo (articoli 128 e ss. ) e tutela il consumatore in caso acquisto di prodotti difettosi, che funzionano male o non rispondono all’uso dichiarato dal venditore o al quale quel bene è generalmente destinato. 
2) Nei confronti di chi può essere fatta valere – Il consumatore può far valere i propri diritti in materia di garanzia legale di conformità rivolgendosi direttamente al venditore del bene, anche se diverso dal produttore.
3) Contenuto della garanzia legale - In presenza di un vizio di conformità, il consumatore ha diritto, a sua scelta, alla riparazione o sostituzione del bene difettoso da parte del venditore, senza addebito di spese. Se ciò non è possibile, il consumatore ha diritto alla riduzione del prezzo o ad avere indietro una somma, commisurata al valore del bene, a fronte della restituzione al venditore del prodotto difettoso.
4) Durata della garanzia legale – La garanzia legale dura due anni dalla consegna del bene e deve essere fatta valere dal consumatore entro due mesi dalla scoperta del difetto: occorre quindi conservare sempre la prova di acquisto (ricevuta fiscale o scontrino di cui si consiglia di fare subito una fotocopia perché le carte termiche degli scontrini possono scolorirsi con il tempo). Salvo prova contraria, che deve essere fornita dal venditore, se il difetto si manifesta nei sei mesi dalla data di consegna del prodotto, si presume che il malfunzionamento sia dovuto a un vizio di conformità già esistente a quella data.
5) Obblighi del venditore Il venditore deve: (i) prendere in consegna il prodotto difettoso per verificare se il malfunzionamento dipenda o meno da un vizio di conformità; (ii) effettuare la riparazione o la sostituzione del bene entro un congruo tempo dalla richiesta e senza addebito di spese al consumatore. 
6) Differenza tra garanzia legale e garanzie convenzionali – Le garanzie convenzionali, gratuite o a pagamento, offerte dal produttore o dal rivenditore, non sostituiscono né limitano quella legale di conformità, rispetto alla quale possono avere invece diversa ampiezza e/o durata. Chiunque offra garanzie convenzionali deve comunque sempre specificare che si tratta di garanzie diverse e aggiuntive rispetto alla garanzia legale di conformità che tutela i consumatori.  
7) I poteri di intervento dell’Antitrust – I comportamenti di rivenditori o produttori che inducano in errore il consumatore sull’esistenza o sulle modalità di esercizio della garanzia legale di conformità, ovvero ne ostacolino l’esercizio stesso possono costituire pratiche commerciali scorrette, vietate e sanzionate dal Codice del Consumo. In tal caso, l’Antitrust può intervenire, a tutela del consumatore, accertando la violazione, imponendo la cessazione della condotta contraria alla legge, sanzionando i soggetti responsabili fino a un massimo di 500.000 euro. L’Antitrust può anche accettare impegni dell’impresa, senza accertare alcuna infrazione, se essi hanno un impatto positivo per i consumatori. Non può invece risolvere le singole controversie.
8) A chi rivolgersi – L’Antitrust ha un numero verde (800166661) attivo dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 14. Si può anche inviare un fax al numero 0685821256 o una segnalazione via posta all’indirizzo: Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - Piazza Verdi, 6/a - 00198 Roma, compilando il modulo disponibile nella sezione ‘Pratiche commerciali scorrette pubblicità ingannevole e comparativa’ del sito www.agcm.it.
13.11.2010

martedì 9 novembre 2010

La 'calda estate' del danno esistenziale

IL DANNO ESISTENZIALE DOPO CASS. SS.UU. NN. 26972-75/2008
QUATTRO SENTENZE DI MERITO DEL LUGLIO 2010

Grazie all’attento monitoraggio presentato dal Prof. Paolo Cendon sul sito di Persona e Danno, è possibile verificare, anche dopo le note sentenze delle Sezioni Unite (SS.UU.) della Corte di Cassazione nn. 26972-75 dell’11 novembre 2008, la persistente attività interpretativa delle Corti di merito in ordine alla sussistenza ed alla quantificazione del c.d. ‘danno esistenziale’.
A mo’ di brevissima premessa, ricordiamo soltanto che le citate sentenze delle SS.UU. hanno specificato che, all’interno della valutazione del danno biologico, è da ricomprendersi anche il danno non patrimoniale c.d. ‘esistenziale’, corrispondente a quei “pregiudizi esistenziali concernenti aspetti relazionali della vita, conseguenti a lesioni dell’integrità psico-fisica, [che] possono costituire soltanto ‘voci’ del danno biologico nel suo aspetto dinamico, nel quale, per consolidata opinione, è ormai assorbito il c.d. danno alla vita di relazione” (cit. da sent. Trib. di Roma – sez. Ostia del 22.10.2009).
Tuttavia, sempre secondo le SS.UU., è possibile individuare (e computare) una voce di ‘ulteriore danno non patrimoniale’, autonoma e separata dal danno biologico tout court, nei seguenti casi:
a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato, […] indipendentemente da una sua rilevanza costituzionale;
b) quando sia la legge stessa a prevedere espressamente il ristoro del danno […] attraverso la norma attributiva del diritto;
c) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale e non predeterminati dovendo, volta a volta essere allegati dalla parte e valutati caso per caso dal giudice (cfr. ad es. Cass. sez. III, 25 settembre 2009 n.20684), dovendosi evitare la duplicazione di poste risarcitorie nel caso che le tabelle in uso comprendessero anche la liquidazione degli aspetti relativi al c.d. ‘danno morale’ ” (dalle Tabelle del danno del Tribunale di Roma).
Ebbene, nonostante la presenza di tali limitazioni nell’individuazione di danni non compresi nella voce di ‘danno biologico’, cionondimeno la giurisprudenza di merito ha continuato ad elaborare la vexata quaestio e ad individuare tipologie di danno che non rientrano nella pur ampia definizione delle SS.UU.
In particolare, nel luglio di quest’anno, vi sono state una serie di pronunce di merito che hanno offerto interessanti spunti di riflessione in ordine al c.d. ‘danno esistenziale’, il quale, pur se da un buon ventennio oggetto della appassionata riflessione della dottrina, forse anche in virtù di tale pur stretta limitazione (che, nello stesso tempo, ne ha rappresentato una legittimazione…), continua ad essere elaborato ed approfondito.
Una prima sentenza si dimostra interessante da un punto di vista metodologico, in quanto evidenzia un importante distinguo nell’applicazione delle c.d. ‘Tabelle’ di tutt’Italia.
La sentenza della Sez. di Ostia del Tribunale di Roma del 19 luglio scorso, ha infatti, a nostro avviso correttamente, specificato come solo l’applicazione delle Tabelle di Milano, conformate dall’aprile del 2009 alle indicazioni delle sentenze delle SS.UU., possa giustificare il calcolo accorpato delle voci di danno biologico, danno morale e danno ‘esistenziale’, in quanto elaborate proprio su tale presupposto.
Al contrario, quindi, “nel risarcimento del danno biologico delle tabelle romane non vi sono, né in tutto né in parte, le voci del danno c.d. morale e c.d. esistenziale; e nulla viene detto nelle note esplicative (e quindi occorre dedurre che nulla c’è) circa una qualche innovativa considerazione dell’incidenza negativa del danno sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato”.
Specificazione che, se di primo acchito può apparire scontata, o addirittura banale, in realtà impone, per i Tribunali di tutt’Italia, una serie di ravvedimenti:
a)      non applicare le Tabelle di Milano, lì dove non sono motivatamente applicabili (principio generale);
b)      in ogni caso, non applicare le Tabelle di Milano solo perché sono le uniche che hanno parametrato il valore ‘punto’ del danno biologico alle interpretazioni delle SS.UU.; ma al contrario
c)      o applicare le ‘classiche’ Tabelle territoriali alla ‘vecchia maniera’, ovvero con le voci separate per ‘danno morale’ ed, eventualmente, ‘danno esistenziale’; oppure
d)      adeguare le Tabelle territoriali ai valori ed alle voci dettate dalle SS.UU. (come ha fatto il Tribunale di Milano).
Il rischio, invece, è che, in virtù di una facile ma erronea ‘traslazione’, anche Tribunali che tradizionalmente non applicano le Tabelle milanesi (come ad esempio Roma), vi si possano adeguare solo in quanto sono ‘le uniche che sono conformi alle indicazioni delle SS.UU.’. Circostanza di per sé vera, ma che comporterebbe l’applicazione di parametri socio-economici di base palesemente non conformi a quelle reali del Tribunale di riferimento.
La sentenza citata, allora, rappresenta in maniera semplice un attento ed importante monito contro una possibile (ma già presente…) ‘traslazione’ dei valori delle tabelle milanesi in tutti i Tribunali d’Italia, sulla base di un presupposto insufficiente, non necessario e che porta ad un’applicazione non corretta, ovvero per essere gli ‘unici’ ad essersi, ad oggi, adeguati alle indicazioni delle SS.UU.
Affrontando invece tre casi interessanti per il ‘merito’ del danno esistenziale, possiamo partire dalla sentenza del Tribunale di Bassano del Grappa del 14 – 20 luglio 2010, che tratta di immissioni sonore. Nel caso di specie, si è trattato di immissioni subite da vicini di una fattoria che triturava in situ  il mangime per gli animali, creando immissioni rumorose che superavano abbondantemente la soglia di ‘normale tollerabilità’ (pur a fini produttivi).
Quello che interessa, della sentenza, è da ravvisarsi, a nostro avviso, non tanto nel riconoscimento del ‘danno alla vita di relazione’ nel caso di specie, quanto nel superamento dell’onere della prova, palesemente assente nel testo delle motivazioni. Infatti, conclude il Tribunale, “deve rilevarsi come le riscontrate immissioni rumorose, una volta accertato l’effettivo superamento della soglia di normale tollerabilità, si presentino sicuramente idonee ad incidere sulla salute degli attori e a condizionarne la vita di relazione”. Come si anticipava, non è stata data alcuna prova del pregiudizio esistenziale, ritenuto ‘in re ipsa’…
Oltretutto, tale riconoscimento implicito viene anche, diciamo così, ‘qualificato’ in due voci differenti, per ‘incidenza sulla salute degli attori’ e per ‘condizionamenti sulla vita di relazione’, ma senza che, appare opportuno dirlo, nella causa venisse fatto alcun accertamento di natura medica sulla persona degli attori. Il Giudice di Bassano del Grappa, oltretutto, in maniera in qualche modo contraddittoria, sottolinea peraltro che non possa ritenersi ‘non autonomamente risarcibile’ il ‘pregiudizio di tipo esistenziale’, ‘anche qualora lo stesso non si manifesti sotto forma di degenerazioni patologiche’, richiamando, a conferma di tale assunto, le note sentenze delle SS.UU., che però “prescrivono […] la verifica del puntuale assolvimento dell’onere della prova in ordine al lamentato danno”.
Come si vede, quindi, se da un lato è da salutare, a nostro avviso positivamente, una continuata ed approfondita riflessione sull’autonomia del danno ‘esistenziale’ rispetto a quello ‘biologico’, dall’altro si deve essere però puntuali nella sua autonoma identificazione, aspetto che, nel caso citato, non appare essere stato sufficientemente approfondito.
Diverso e più analitico percorso, invece, è stato quello affrontato dal Tribunale di Nocera Inferiore, nella sentenza del 13 luglio 2010, avente ad oggetto l’interruzione del servizio di fornitura di acqua potabile per un’intera settimana.
In tale circostanza, infatti, si è dimostrata fondamentale una ‘prova testimoniale’, attraverso la quale si è dato atto delle “difficoltà ad attendere all’igiene personale e della casa, all’impossibilità di usare acqua calda ed elettrodomestici” e della “necessità di attingere acqua presso altri Comuni limitrofi al fine di soddisfare le esigenze di vita primarie e basilari, disagi che, ripercuotendosi sul diritto alla qualità della vita ed alla libera estrinsecazione della personalità, costituzionalmente garantito dall’art. 2 Cost […] fanno riconoscere il risarcimento del danno esistenziale”. Si potrebbe anche notare che il caso in questione è uno di quei casi in cui potrebbe anche a ragione desumersi il danno in base a fatti notori, essendo l’acqua un bene fondamentale la cui mancanza, ancor più dell’energia, incide pesantemente sulla ‘qualità della vita’ di ogni giorno; pur tuttavia, in questo caso le parti attrici si sono peritate di dare puntuale contezza di tali ‘difficoltà’, meritando il riconoscimento del danno, poi quantificato in maniera (quella si) equitativa ex art. 1226 C.c., in € 300,00 per tutto il periodo. In base alla stessa corretta ‘logica’, nel caso di specie, veniva invece rigettata la richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali, giudicati ‘non provati’.
Quarto e più qualificato esempio, infine, è dato dalla Corte d’Appello di Roma in una sentenza depositata il 20 luglio u.s., nella quale si rinviene, preliminarmente, una buona definizione del ‘danno esistenziale’, presentato come quel “danno determinante una modificazione peggiorativa della personalità da cui consegue uno sconvolgimento delle abitudini di vita con alterazione del modo di rapportarsi con gli altri nell’ambito della comune vita di relazione sia all’interno sia all’esterno del nucleo familiare, conseguente alla ingiusta violazione di valori essenziali costituzionalmente tutelati della persona”.
Dopo tale acuta e sottile definizione del danno esistenziale, che ben mette in relazione il danno, che viene definito ‘della personalità’, con le ‘abitudini di vita’ del soggetto danneggiato, il Giudice romano passa a verificare la sussistenza di tale tipologia di danno, nel caso di specie derivante da violazione della privacy per continue telefonate di natura commerciale da parte di una ben nota società commerciale.
Anche qui, a dire il vero, qualche incertezza interpretativa è individuabile, all’interno delle motivazioni della sentenza, in quanto se da un lato il Giudice dell’Appello ricorda che “la lesione dei diritti di rilevanza costituzionale va incontro alla sanzione risarcitoria per il fatto in sé della lesione (danno evento), indipendentemente dalle eventuali ricadute patrimoniali che la stessa possa comportare (danno conseguenza)”, traendo tale principio da Cass. n. 7713/2000; dall’altro, immediatamente dopo, specifica che “tuttavia, il danno non patrimoniale, costituendo pur sempre un danno-conseguenza, deve essere specificamente allegato e provato ai fini risarcitori, non potendo mai considerarsi in re ipsa (v. Cass. n. 20987/07)”, principio che sembra contraddire quanto detto nel paragrafo immediatamente precedente, e che pone il seguente dubbio: ma allora il danno esistenziale, in quanto per natura di derivazione costituzionale, è ‘danno evento’ o ‘danno conseguenza’?
La poca chiarezza, diciamo così, teorica del ragionamento che precede, si è riflessa, come spesso succede, anche nel merito della questione, dove, se il Tribunale di primo grado aveva stabilito che “non può escludersi l’astratta configurabilità di una qualche lesione della serenità familiare – riconducibile alla materia della privacy – dovuta al continuo squillare del telefono, con diretto disturbo anche delle comunicazioni telefoniche effettivamente indirizzate al titolare dell’utenza”, salvo poi rigettare, con una qualche contraddizione, la domanda per “difetto di prova” e condannare parte attrice al pagamento delle spese di giudizio, la Corte d’Appello rigetta nuovamente la domanda, sottolineando la “prova che l’appellante non ha fornito”. Salvo poi, però, non solo compensare le spese dell’appello per l’intero, ma anche riformare la sentenza di primo grado in ordine alle spese di giudizio, compensandole al 50%, sulla base dell’“accertato profilo di responsabilità della società appellata”.
Motivazione che inaspettatamente, date le premesse, torna così a sovrapporre il piano della ‘responsabilità’ con quello relativo ai ‘danni’; piani che così, pur solo nella parte relativa alle spese di giudizio, tradiscono ancora una volta, da parte degli interpreti, una non sufficiente differenziazione teorica e, di conseguenza, pratica, con le manifeste incertezze giurisprudenziali che continuano a presentarsi sotto i nostri occhi.
Avv. Antonio M. Polito

lunedì 25 ottobre 2010

Cosa accade al mercato delle Assicurazioni?

I recenti interventi dell’Autorità Garante della Concorrenza sulle inefficienze concorrenziali nel settore assicurativo.

Negli ultimi sei mesi, l’Autorità che vigila sulla Concorrenza e sul Mercato ha affrontato in due occasioni la questione inerente gli aspetti concorrenziali del settore RC Auto.
Il 6 maggio 2010 (provv. n. 21091/2010), infatti, l’Autorità procedeva ad un’ ‘indagine conoscitiva’ riguardante la procedura del risarcimento diretto e i suoi effetti sulla concorrenzialità del Settore. L’Autorità, si ricorda, ha sempre spinto molto su tale argomento, in quanto “tale innovativa modalità risarcitoria […] comporta l’estensione del confronto competitivo dall’ambito tradizionale dei premi e delle garanzie, a quello dei servizi liquidativi, con potenziali effetti incentivanti rispetto alla propensione alla mobilità degli assicurati”, oltre ad instaurare un “più chiaro e diretto rapporto tra compagnia ed assicurato”.
Tuttavia, nonostante siano passati oltre tre anni dall’introduzione di tale nuova filosofia risarcitoria, “le evidenze di mercato mostrano il permanere di alcuni profili di criticità”, in quanto risulta, contrariamente alle aspettative, che “il livello dei premi applicati dalle compagnie per i contratti RCA avrebbe conosciuto negli ultimi anni incrementi significativi e generalizzati”, con aumenti ‘medi’ del 15 %, sino ad oltre il 30% per l’assicurazione dei motocicli.
Con lo scopo di analizzare i motivi che hanno portato a tali importanti ed inattesi aumenti, l’Autorità ha quindi espresso l’esigenza di effettuare “una ricostruzione attendibile dell’andamento dei prezzi effettivi e dei costi del settore RCA” ed una verifica delle “modalità e [del]le tecniche con le quali viene determinato l’importo del forfait, i parametri ed i criteri sottesi alle decisioni adottate di volta in volta in ordine all’introduzione di correttivi al sistema di compensazione, nonché le diverse politiche di controllo dei costi dei risarcimenti adottate dalle compagnie”.
L’Autorità ha, quindi, richiesto e ricevuto da poco tali dati dalle Compagnie di assicurazione, dati che sono in fase di elaborazione e i cui risultati saranno, all’esito, pubblicati.
Ma successivamente, precisamente il 29 settembre u.s., il Presidente dell’Autorità, Antonio Catricalà, ha esposto più nel dettaglio le caratteristiche degli aspetti concorrenziali nel mercato delle Assicurazioni innanzi alla Commissione Industria, Commercio e Turismo del Senato della Repubblica.
Il Presidente Catricalà parte da un dato fondamentale, cioè che “nonostante l’inizio della liberalizzazione sia stato decretato, in attuazione del diritto comunitario, fin dal 1994, non si è attivato un efficace processo concorrenziale e conseguentemente non si è avuto un riflesso positivo sul contenimento dei prezzi”. Se tuttavia tale caratteristica può essere non rara, anche a livello internazionale, in mercati come quello assicurativo o finanziario, dove i servizi vengono scelti dal consumatore “attingendo ai suggerimenti di determinati intermediari cui si riconosce una particolare fiducia (l’agente come l’addetto allo sportello bancario)”, tuttavia vengono specificate “ulteriori criticità […] dal lato dell’offerta” all’interno del mercato italiano.
Oltre infatti a “comportamenti apertamente collusivi” verificati e sanzionati in alcune occasioni da parte dell’Autorità (es.: scambio di informazioni tramite un’organizzazione comune, nel 2000), vi sono altre “criticità di struttura non facilmente risolvibili ”.
Una, ad esempio, è rappresentata dal “numero rilevante di partecipazioni incrociate” tra le diverse Compagnie, nonché dalla “moltiplicazione degli incarichi di direzione per le stesse persone fisiche che si trovano nella direzione di imprese che dovrebbero essere tra loro concorrenti”. L’Autorità cita, a riguardo, una sua indagine conoscitiva di fine 2008, dove emerge che, nelle Compagnie di Assicurazione che rappresentano circa il 90% del mercato attivo del settore, il 71% “presentava legami costituiti da amministratori comuni con i propri concorrenti”.
            Da qui, logicamente, l’Autorità rileva gli “esiti non concorrenziali” di compagini imprenditoriali tra loro vicendevolmente interlacciate, come venne sottolineato nel 2006, quando l’acquisizione di Toro Ass.ni da parte di Generali si inseriva in realtà nella più ampia logica di “costituire o rafforzare una posizione dominante collettiva” tra Generali-Toro e Fondiaria-Sai.
            Già nel 2003, data a cui risale l’ultima Indagine conoscitiva sul settore r.c.a., del resto, nella quale erano già state segnalate le criticità inerenti un continuo accrescimento dei premi, una sostanziale immutabilità delle quote di mercato e un limitato ingresso di operatori stranieri nel mercato italiano, le Compagnie stesse avevano indicato nel sistema del risarcimento c.d. ‘indiretto’ modalità di servizio che non incentivavano “comportamenti virtuosi da parte dei diversi soggetti coinvolti” e che comportavano che l’assicurato rimaneva “di fatto indifferente alla qualità del servizio nella fase di liquidazione dei sinistri”.
            Ma nonostante la realizzazione di nuove formule di distribuzione su Internet, l’inserimento del divieto di imposizione di prezzi minimi (2006) e, soprattutto, l’inserimento, nel 2007, del meccanismo del risarcimento diretto, le rigidità e le criticità del Mercato delle Assicurazioni, in Italia, non sembrano, “ad un primo sguardo”, essere affatto migliorate, non avendo avuto l’effetto di “orientare il mercato verso esiti di maggiore efficienza”.
            Infatti, a distanza di quasi tre anni dall’introduzione del nuovo meccanismo risarcitorio, sono stati “registrati fenomeni di sensibile incremento del premio” accompagnati, dal 2009, anche da un “peggioramento del rapporto tra costo dei sinistri e premi (Loss Ratio)”, che sottolinea come neanche i costi dei sinistri risultano essere sotto controllo.
            Ad un aumento dei premi che sarebbe arrivato, per alcune categorie di veicoli, anche a 20-30 punti percentuali, viene richiamata anche la conferma dei dati dell’Eurostat, che nel periodo giugno 2009 – giugno 2010, ha segnalato un aumento della tariffa media italiana del 7,7 %, a fronte di una media europea del 5,4 %.
            A tali aumenti, si aggiungono poi anche le “modalità poco trasparenti con cui gli incrementi di premio sono resi noti ai consumatori”, aspetto su cui l’Autorità ha ricevuto molteplici denunce da parte di associazioni di consumatori e che sarà oggetto di autonomo approfondimento.
            Altro aspetto molto delicato, è poi quello inerente i criteri di compensazione dei costi dei sinistri tra le singole Compagnie, sistema definito dall’Autorità “alquanto intricato nel quale peraltro sono lasciate indefinite molte questioni” ed al quale si aggiunge la “scarsa conoscibilità dei lavori e delle determinazioni del comitato tecnico che […] deve […] calcolare i valori da assumere a base delle compensazioni”, attività per la quale, peraltro, “non risulta prevista alcuna forma di pubblicità”.
            L’Autorità pertanto, in presenza di tali elementi, desume che, in virtù di queste opacità di sistema, “si aprono spazi per decisioni non pienamente efficienti, quando non addirittura opportunistiche da parte degli operatori, senza che sia possibile effettuare un efficace controllo”.
            Inoltre, l’Autorità lamenta anche la circostanza che non ha visto concretarsi, nell’interesse dei consumatori, la possibilità (art. 14, co.I, D.P.R. n. 254/06) di prevedere riduzioni del premio assicurativo a fronte di forme di risarcimento del danno “in forma specifica” (ovvero: riparazioni a mezzo di officine convenzionate). Lì dove infatti è già avvenuto, ciò è stato senza comportare riduzioni sul premio e da parte di Compagnie che adottano tale tipologia di risarcimento come unica modalità, e non già come facoltà alternativa (e meno costosa).
Il pregiudizio nei confronti dei consumatori, da questo punto di vista, risulta dunque essere duplice: da una parte, non avere modalità ‘alternative’ di risarcimento, di per sé meno costose (anche per la Compagnia); dall’altra, in caso di adozione unica (come è avvenuto), vedere ridotto il ventaglio delle officine di riferimento, i cui criteri di selezione e convenzione potrebbero peraltro anche non essere sempre ragionevoli, e non avere alcun tipo di informazione preventiva in ordine a tali soggetti fiduciari: aspetto, quest’ultimo, che, come sottolinea espressamente l’Autorità, potrebbe anche determinare la scelta di una Compagnia rispetto ad un’altra.
Come conseguenza diretta di tali prassi, poi, emergono anche altre problematiche legate alla Concorrenza ed al Mercato, ovvero ci si chiede “se queste prassi commerciali, anziché determinare gli attesi contenimenti dei costi, in realtà non si siano risolte soltanto in uno svantaggio per le carrozzerie di minori dimensioni non fidelizzate a grandi compagnie”.
Ma probabilmente la criticità principale evidenziata dall’Autorità è ancora un’altra. Contrariamente infatti ad ogni aspettativa economica relativa all’adozione del modello di risarcimento diretto, al di là di una apprezzabile velocizzazione sui tempi di liquidazione dei danni, l’altro effetto riscontrato è che “si sarebbe amplificata la tendenza alla sottostima dei danni riconosciuti ai propri assicurati da parte delle compagnie”.
Tali elementi quindi, comuni a tutto il mercato assicurativo, hanno fatto sì che la propensione a cambiare Compagnia assicurativa sia rimasta estremamente bassa, anche se leggermente migliorata (dal 6,3% nel 2006 al 9,3% nel 2009), a fronte di livelli europei ben più alti (a questo proposito, l’Autorità cita il dato britannico del 45%)…
Sul punto, viene limitata anche l’efficacia del c.d. ‘preventivatore’ curato dall’ISVAP, le cui indicazioni si limitano ai profili tariffari, “senza fornire alcuna informazione sui contenuti contrattuali delle diverse polizze, che possono essere tra loro differenziati in maniera anche assai rilevante”.
In sintesi, dunque, l’Autorità ribadisce l’estrema necessità della sua indagine, “volta a comprendere la ragione per cui il modello teoricamente efficiente dell’indennizzo diretto, nei fatti non sembra riesca a contenere adeguatamente i costi e i premi”, attingendo ad un campione societario che rappresenta “oltre l’80% in quote di mercato sui premi raccolti annualmente”.
Ancora una volta, all’esito di tale indagine, potremo dunque verificare e, come suol dirsi, ‘toccare con mano’ le singolari qualità, anche in questo settore, del ‘calabrone’ Italia.

Avv. Antonio M. Polito

lunedì 4 ottobre 2010

Segnalazione dell'Antitrust su disegno di legge su distributori benzina

            L'Autorità Antitrust (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, A.G.C.M.) è intervenuta lo scorso 30 settembre per sottolineare una possibile limitazione delle regole della concorrenza in ordine ad una proposta inserita nello schema di disegno di legge annuale sulla concorrenza, in tema di distribuzione di carburanti.

            L'Autorità ha infatti evidenziato alle massime cariche dello Stato, in virtù dei suoi poteri d'intervento e segnalazione ex art. 22 della legge n.287/1990, che alcuni contenuti del verbale d'intesa delle associazioni di categoria dei distributori di carburante, frutto di una minaccia di sciopero sindacale poi revocato, il cui contenuto potrebbe confluire nel testo della legge annuale, "siano peggiorative, sotto il profilo concorrenziale, rispetto alle soluzioni normative in materia individuate originariamente nello schema di disegno di legge annuale predisposto dal Ministero dello Sviluppo Economico".
          
             Si evidenziano quindi le parti più importanti della segnalazione dell'AGCM.

             Sottolinea l'Autorità che "le modifiche allo schema di disegno di legge allegate al verbale di intesa: a) limitano al 25% delle risorse del Fondo per la razionalizzazione della rete dei carburanti (di cui al decreto legislativo n. 32/98) quelle destinabili alla chiusura dei retisti indipendenti; b) eliminano la previsione di una contribuzione maggiorata del 50% al suddetto Fondo da parte degli impianti dei comuni “inadempienti” nell’attività di chiusura degli impianti incompatibili.  Si tratta in entrambi i casi di modifiche idonee a dilazionare il processo di ammodernamento della rete di distribuzione di carburante nazionale, ed in quanto tali  suscettibili di determinare effetti di mantenimento dell’attuale inefficienza della rete (oltre che il perdurare del cd “stacco” dei prezzi italiani rispetto alla media europea)".

              Tuttavia, si ravvedono anche altri aspetti potenzialmente limitativi per uno sviluppo della concorrenzialità (e quindi, della qualità) dei servizi di distribuzione del carburante.

              "Nella sua formulazione originaria, prosegue l'Autority, lo schema di disegno di legge annuale vietava, all’art. 28, al comma 1, alle Regioni ed alle Province Autonome la possibilità di porre vincoli in materia di: a) utilizzo di apparecchiature self service pre-pay durante le ore di apertura in cui gli impianti forniscono anche la modalità servito; b) apertura di nuovi impianti, ovvero trasformazione di impianti esistenti, in modalità completamente automatizzata (cd impianti ghost). Sempre al fine di garantire una maggiore concorrenza, l’art. 28 vietava inoltre la possibilità per gli enti locali di porre l’obbligo per i nuovi impianti di assicurare contemporaneamente la distribuzione di carburanti e di metano e/o GPL (comma 2).
               "In quella formulazione la norma correttamente recepiva una serie di indicazioni contenute in recenti segnalazioni dell’Autorità a numerose Regioni ed enti locali, nelle quali si evidenziava l’effetto restrittivo derivante dalla eccessiva pervasività della regolamentazione locale a fronte dei principi di piena liberalizzazione all’apertura degli impianti di distribuzione prescritti dalla riforma nazionale del 2008 (art. 83 della legge n. 133/08).
               "In ogni caso, lo sviluppo di una forte “selfizzazione” della rete (sino all’apertura di impianti completamente automatizzati come avviene di norma nei principali paesi europei) è sempre stato visto dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato come un auspicabile sviluppo della rete di distribuzione nazionale al fine di ridurre il cd “stacco” dei prezzi nazionali dalla media europea

               "Nelle ipotesi di modifica allo schema di disegno di legge, tuttavia, viene integralmente soppresso il comma 2, e il comma 1 viene riformulato nel senso di prevedere semplicemente “anche” la presenza di impianti self service in ogni impianto di distribuzione, senza però più affermare il divieto in capo alle Regioni ed alle Province Autonome di regolamentare in modo restrittivo l’effettiva operatività degli stessi.

                "Da ultimo, la proposta di modifica dell’art. 29 dello schema di disegno di legge annuale interviene sul comma 3 di detto articolo, eliminando la possibilità, precedentemente prevista, di esercizio delle attività non oil da parte di soggetti non titolari delle licenze di esercizio (salvo rinuncia del diritto da parte di questi ultimi). 
                 "In conclusione, le nuove formulazioni previste per gli artt. 28 e 29 del disegno di legge annuale, appaiono poco efficaci rispetto all’indifferibile esigenza di garantire un’uniforme applicazione a livello locale dei principi di liberalizzazione sanciti a livello nazionale dall’art. 83 della legge n. 133/08.
            
                  "L’Autorità, al fine della promozione di uno sviluppo più concorrenziale del settore della distribuzione carburanti in Italia, auspica, quindi che le modifiche sopra individuate vengano espunte dal testo del disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza, o direttamente in sede di analisi del provvedimento da parte del Consiglio dei Ministri, o in sede di esame parlamentare dello stesso, reintroducendo altresì disposizioni realmente liberalizzatrici a favore del mercato e dei consumatori, fermo restando la previsione che prevede la caduta dell’esclusiva di fornitura".

                   Ancora un esempio, dunque, di come un'attenta Autorità del Mercato super partes possa non solo essere fondamentale nella redazione e valutazione di testi di legge che incidono concretamente sulla realtà economica del Paese, ma erigersi anche ad importante soggetto istituzionale a difesa degli interessi nazionali ad una concreta politica di modernizzazione e, pertanto, ad una reale tutela degli interessi dei consumatori.

                                                                      Avv. Antonio M. Polito

venerdì 1 ottobre 2010

Contratti bancari e diritto di recesso

Modifica unilaterale dei contratti bancari di durata e diritto di recesso:
una ricognizione problematica.

Avv. Antonio M. Polito

                   L’intervento dell’art.10 del d. l. del 4 luglio 2006, n.223, convertito, con modifiche, con L. n. 248 del 4 agosto successivo, sulla disciplina delle variazioni unilaterali delle condizioni contrattuali nei rapporti bancari, ha determinato qualche incertezza interpretativa di non secondaria importanza.
                  In particolare, tali incertezze hanno riguardato i presupposti obiettivi di una tale facoltà, e la ripartizione dei costi ad essa collegati. Un documento di ‘chiarimenti’ da parte del Ministero dello Sviluppo Economico del 27 febbraio 2007, tuttavia, ha inteso far chiarezza sull’istituto, ma non tutti i motivi di perplessità sembrano fugati.
                  Si verificheranno pertanto le persistenti criticità del testo, pur dopo i chiarimenti governativi.
                  Un primo aspetto dal quale si ritiene opportuno partire, pur se non derivante da incertezze di natura letterale, è quello inerente la possibilità di esercitare la facoltà di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali solo se espressamente prevista in contratto. Per essere più precisi, allora, converrà dire che tale ‘facoltà’ attribuita dalla Legge non riguarda i contratti di durata tout court, ma solo quelli per i quali sia stato espressamente ‘convenuto’ la possibilità di esercitarla. In altre parole, la legge di riforma non ha reso tale facoltà ‘naturale’ ad ogni contratto di durata, bensì ne ha reso legittimo l’inserimento pattizio (e, come vedremo, a certe condizioni). Ribadiamo che il testo (riformato) del primo comma dell’art.118 del Testo Unico Bancario (D. Lgs. 385/1993) è chiaro a riguardo, ma riteniamo che tale fondamentale presupposto (operativo ed interpretativo) sia, in qualche commento, non sufficientemente sottolineato.
                  Tale esplicita convenzione, deve poi rispettare tre presupposti fondamentali, uno di natura formale e due di natura sostanziale, ovvero che:
a)      sia possibile esercitare tale facoltà solo in presenza di un ‘giustificato motivo’;
b)      solo per fattispecie di variazione già previste in contratto (impossibile l’introduzione di clausole ex novo);
c)      sia pattuita nel rispetto delle forme previste dall’art.1341 C.c., co. II (la generale disciplina sulle ‘condizioni generali di contratto’, ovvero l’espressa e separata sottoscrizione per iscritto).
                  A tale facoltà, essendo attribuita in via del tutto eccezionale ad una sola delle parti del contratto, viene riconosciuta specularmente, per mantenere l’equilibrio sinallagmatico, una conseguente facoltà di recesso da parte dell’altro contraente, che ha così la possibilità di recedere, entro sessanta giorni e senza spese, da un contratto dalle condizioni modificate e da lui mai accettate.
                  Tralasciando le questioni inerenti l’ambito di applicazione soggettivo di tali facoltà, definiti nella nota del Ministero genericamente come ‘intermediari’ e che vengono dettagliatamente individuati, è opportuno soffermarsi su due degli aspetti sopra elencati, partendo da quello del ‘giustificato motivo.
                  Tale aspetto, secondo la lettura del Ministero, può afferire sia alle qualità del cliente, quali il suo ‘grado di affidabilità’, sia alle variazioni di condizioni economiche generali che influiscano sui costi operativi sostenuti dagli intermediari.
                  Sul punto, tuttavia, è opportuno formulare due osservazioni.
                  La prima è che, sempre secondo il disposto del comma I del novellato art. 118 T.U.B., anche la prospettazione del ‘giustificato motivo’ sembra dover rispettare i criteri dell’art. 1341 C.c., e pertanto si dovrebbe concludere, a nostro avviso, per una comunicazione preventiva ed espressamente accettata e sottoscritta, pur generica, degli elementi che possano rappresentare ‘giustificati motivi’ di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali. Il testo, sul punto, ci sembra alquanto rigido e difficilmente compatibile con una interpretazione meno rigorosa. Un mancato rispetto di tali formalità dovrebbe comportare pertanto, anche in questo caso, l’inefficacia di tali clausole, qualora fossero sfavorevoli per il cliente (ex art.118, co.III, T.U.B.).
                  La seconda osservazione riguarda invece i costi operativi sostenuti dagli intermediari che, secondo il Ministero, possono aumentare, variando così le condizioni contrattuali, in ciò giustificando la facoltà di modifica unilaterale. La peculiarità di tale previsione, tuttavia, è che tale aspetto funziona solo a favore dell’intermediario e non anche, in senso contrario, in favore del cliente. Ovvero, se il costo per l’intermediario dovesse aumentare, quest’ultimo potrebbe esercitare la facoltà di modifica unilaterale; al contrario, se il cliente dell’intermediario dovesse avere conoscenza di un intermediario che ha costi più bassi, non potrebbe godere lui stesso della medesima facoltà (modifica salvo recesso)… . Certo, si è ben consapevoli come possa ritenersi ingiustificato equiparare un soggetto che dei costi ce li ha (l’intermediario), con uno che non ne ha (il cliente), ma se ci poniamo nell’ottica delle parti all’interno di un contratto, e di ciascuna di esse nel reciproco rapporto economico e sinallagmatico, all’aumento del ‘rischio’ di una (il possibile aumento dei costi) dovrebbe paragonarsi l’aumento del ‘rischio’ dell’altra (vincolatività contrattuale a tempo indeterminato a fronte di altre condizioni contrattuali più vantaggiose). Probabilmente, tuttavia, tale limitazione può essere ritenuta compensata dalla previsione di cui all’art.10, co.II, della L. 248/06 (sulla quale si legga infra).
                  Correttamente, infine, il chiarimento del Ministero evidenzia anche come il ‘giustificato motivo’ debba essere comunicato, affinché il cliente possa valutarne la fondatezza e la congruità, ovvero contestarlo e difendere i propri interessi.
                  Il secondo aspetto particolarmente delicato della normativa citata, è infine quello relativo alle spese in caso di recesso.
                  Da questo punto di vista, la disciplina, dopo la legge di conversione dell’agosto 2006, è diventata duplice, atteso che, nello stesso articolo (art.10), sono contemplate due fattispecie distinte, ovvero, sempre nell’ambito di contratti di durata,:
a)      il recesso del cliente a sèguito di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali (co. I);
b)      il recesso del cliente, prevista come facoltà sempre liberamente esercitabile (co. II).
                  Il primo, infatti, viene disciplinato dal testo dell’art. 118, co. II, del T.U.B. (per come novellato dall’art.10, co.I, della L. 248/06), in cui si specifica che il cliente, in caso di recesso a sèguito di modifica unilaterale da parte dell’intermediario, possa esercitare il suo diritto “senza spese”.
                  Il secondo, invece, viene disciplinato dal comma II dell’art.10 della L.248/06, esula pertanto il contenuto (e i limiti) del T.U.B. e specifica come “in ogni caso, nei contratti di durata, il cliente ha sempre la facoltà di recedere dal contratto senza penalità e senza spese di chiusura”.
                  Da tale diversa disciplina, allora, e sulla base della maggiore ampiezza della prima dizione rispetto all’altra, può argomentarsi che, mentre in caso di recesso a sèguito di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali, al cliente non possa addebitarsi nessuna spesa, l’esercizio del recesso non giustificato da modifica contrattuale, possa comportare il pagamento da parte di quest’ultimo di quelle spese che non rientrino in ‘penalità’, né in ‘spese di chiusura’.
                  Da qui, appare agevole concludere quella che potrebbe delinearsi come la ‘disciplina dei costi’ sopportati dal soggetto intermediario, che nel caso di recesso dovuto a modifica unilaterale, non dovranno certamente essere addebitati al cliente, mentre nel caso di recesso non giustificato da parte del cliente, potrebbero trovare maggior motivo (giuridico e funzionale) per una loro attribuzione a quest’ultimo.
                  Su tale ultimissimo punto, peraltro, si specifica come le indicazioni date dal Ministero nel 2007 siano discordi con la tesi qui sostenuta (inglobando i ‘costi di chiusura’ nelle ‘spese di chiusura’), ma anche discordanti, a nostro modesto parere, con il testo normativo, ponendo una distinzione tra ‘costi di chiusura’ interni (non addebitabili) e ‘costi di chiusura’ sostenuti da soggetti terzi (addebitabili al cliente), che, salvo espressa pattuizione contrattuale (e sempre che rispetti le formalità dell’art.1341, co.II, C.c.), non essendo previsti da alcun dato normativo, non sembra giustificabile.

(pubblicato originariamente il 14.04.2010)