lunedì 15 novembre 2010

Guida alla garanzia legale del consumatore

Il 13 novembre u.s., l'Autorità Garante della Concorrenza e dei Mercati, sul suo sito (agcm.it), ha pubblicato una breve guida per i consumatori sulle 'garanzie legali' inerenti l'acquisto di prodotti difettosi. Se ne riporta il contenuto integrale:


GARANZIA LEGALE SUI BENI DI CONSUMO:
ECCO I DIRITTI DEI CONSUMATORI  
1) Che cos’è la garanzia legale - La garanzia legale di conformità è prevista dal Codice del Consumo (articoli 128 e ss. ) e tutela il consumatore in caso acquisto di prodotti difettosi, che funzionano male o non rispondono all’uso dichiarato dal venditore o al quale quel bene è generalmente destinato. 
2) Nei confronti di chi può essere fatta valere – Il consumatore può far valere i propri diritti in materia di garanzia legale di conformità rivolgendosi direttamente al venditore del bene, anche se diverso dal produttore.
3) Contenuto della garanzia legale - In presenza di un vizio di conformità, il consumatore ha diritto, a sua scelta, alla riparazione o sostituzione del bene difettoso da parte del venditore, senza addebito di spese. Se ciò non è possibile, il consumatore ha diritto alla riduzione del prezzo o ad avere indietro una somma, commisurata al valore del bene, a fronte della restituzione al venditore del prodotto difettoso.
4) Durata della garanzia legale – La garanzia legale dura due anni dalla consegna del bene e deve essere fatta valere dal consumatore entro due mesi dalla scoperta del difetto: occorre quindi conservare sempre la prova di acquisto (ricevuta fiscale o scontrino di cui si consiglia di fare subito una fotocopia perché le carte termiche degli scontrini possono scolorirsi con il tempo). Salvo prova contraria, che deve essere fornita dal venditore, se il difetto si manifesta nei sei mesi dalla data di consegna del prodotto, si presume che il malfunzionamento sia dovuto a un vizio di conformità già esistente a quella data.
5) Obblighi del venditore Il venditore deve: (i) prendere in consegna il prodotto difettoso per verificare se il malfunzionamento dipenda o meno da un vizio di conformità; (ii) effettuare la riparazione o la sostituzione del bene entro un congruo tempo dalla richiesta e senza addebito di spese al consumatore. 
6) Differenza tra garanzia legale e garanzie convenzionali – Le garanzie convenzionali, gratuite o a pagamento, offerte dal produttore o dal rivenditore, non sostituiscono né limitano quella legale di conformità, rispetto alla quale possono avere invece diversa ampiezza e/o durata. Chiunque offra garanzie convenzionali deve comunque sempre specificare che si tratta di garanzie diverse e aggiuntive rispetto alla garanzia legale di conformità che tutela i consumatori.  
7) I poteri di intervento dell’Antitrust – I comportamenti di rivenditori o produttori che inducano in errore il consumatore sull’esistenza o sulle modalità di esercizio della garanzia legale di conformità, ovvero ne ostacolino l’esercizio stesso possono costituire pratiche commerciali scorrette, vietate e sanzionate dal Codice del Consumo. In tal caso, l’Antitrust può intervenire, a tutela del consumatore, accertando la violazione, imponendo la cessazione della condotta contraria alla legge, sanzionando i soggetti responsabili fino a un massimo di 500.000 euro. L’Antitrust può anche accettare impegni dell’impresa, senza accertare alcuna infrazione, se essi hanno un impatto positivo per i consumatori. Non può invece risolvere le singole controversie.
8) A chi rivolgersi – L’Antitrust ha un numero verde (800166661) attivo dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 14. Si può anche inviare un fax al numero 0685821256 o una segnalazione via posta all’indirizzo: Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - Piazza Verdi, 6/a - 00198 Roma, compilando il modulo disponibile nella sezione ‘Pratiche commerciali scorrette pubblicità ingannevole e comparativa’ del sito www.agcm.it.
13.11.2010

martedì 9 novembre 2010

La 'calda estate' del danno esistenziale

IL DANNO ESISTENZIALE DOPO CASS. SS.UU. NN. 26972-75/2008
QUATTRO SENTENZE DI MERITO DEL LUGLIO 2010

Grazie all’attento monitoraggio presentato dal Prof. Paolo Cendon sul sito di Persona e Danno, è possibile verificare, anche dopo le note sentenze delle Sezioni Unite (SS.UU.) della Corte di Cassazione nn. 26972-75 dell’11 novembre 2008, la persistente attività interpretativa delle Corti di merito in ordine alla sussistenza ed alla quantificazione del c.d. ‘danno esistenziale’.
A mo’ di brevissima premessa, ricordiamo soltanto che le citate sentenze delle SS.UU. hanno specificato che, all’interno della valutazione del danno biologico, è da ricomprendersi anche il danno non patrimoniale c.d. ‘esistenziale’, corrispondente a quei “pregiudizi esistenziali concernenti aspetti relazionali della vita, conseguenti a lesioni dell’integrità psico-fisica, [che] possono costituire soltanto ‘voci’ del danno biologico nel suo aspetto dinamico, nel quale, per consolidata opinione, è ormai assorbito il c.d. danno alla vita di relazione” (cit. da sent. Trib. di Roma – sez. Ostia del 22.10.2009).
Tuttavia, sempre secondo le SS.UU., è possibile individuare (e computare) una voce di ‘ulteriore danno non patrimoniale’, autonoma e separata dal danno biologico tout court, nei seguenti casi:
a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato, […] indipendentemente da una sua rilevanza costituzionale;
b) quando sia la legge stessa a prevedere espressamente il ristoro del danno […] attraverso la norma attributiva del diritto;
c) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale e non predeterminati dovendo, volta a volta essere allegati dalla parte e valutati caso per caso dal giudice (cfr. ad es. Cass. sez. III, 25 settembre 2009 n.20684), dovendosi evitare la duplicazione di poste risarcitorie nel caso che le tabelle in uso comprendessero anche la liquidazione degli aspetti relativi al c.d. ‘danno morale’ ” (dalle Tabelle del danno del Tribunale di Roma).
Ebbene, nonostante la presenza di tali limitazioni nell’individuazione di danni non compresi nella voce di ‘danno biologico’, cionondimeno la giurisprudenza di merito ha continuato ad elaborare la vexata quaestio e ad individuare tipologie di danno che non rientrano nella pur ampia definizione delle SS.UU.
In particolare, nel luglio di quest’anno, vi sono state una serie di pronunce di merito che hanno offerto interessanti spunti di riflessione in ordine al c.d. ‘danno esistenziale’, il quale, pur se da un buon ventennio oggetto della appassionata riflessione della dottrina, forse anche in virtù di tale pur stretta limitazione (che, nello stesso tempo, ne ha rappresentato una legittimazione…), continua ad essere elaborato ed approfondito.
Una prima sentenza si dimostra interessante da un punto di vista metodologico, in quanto evidenzia un importante distinguo nell’applicazione delle c.d. ‘Tabelle’ di tutt’Italia.
La sentenza della Sez. di Ostia del Tribunale di Roma del 19 luglio scorso, ha infatti, a nostro avviso correttamente, specificato come solo l’applicazione delle Tabelle di Milano, conformate dall’aprile del 2009 alle indicazioni delle sentenze delle SS.UU., possa giustificare il calcolo accorpato delle voci di danno biologico, danno morale e danno ‘esistenziale’, in quanto elaborate proprio su tale presupposto.
Al contrario, quindi, “nel risarcimento del danno biologico delle tabelle romane non vi sono, né in tutto né in parte, le voci del danno c.d. morale e c.d. esistenziale; e nulla viene detto nelle note esplicative (e quindi occorre dedurre che nulla c’è) circa una qualche innovativa considerazione dell’incidenza negativa del danno sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato”.
Specificazione che, se di primo acchito può apparire scontata, o addirittura banale, in realtà impone, per i Tribunali di tutt’Italia, una serie di ravvedimenti:
a)      non applicare le Tabelle di Milano, lì dove non sono motivatamente applicabili (principio generale);
b)      in ogni caso, non applicare le Tabelle di Milano solo perché sono le uniche che hanno parametrato il valore ‘punto’ del danno biologico alle interpretazioni delle SS.UU.; ma al contrario
c)      o applicare le ‘classiche’ Tabelle territoriali alla ‘vecchia maniera’, ovvero con le voci separate per ‘danno morale’ ed, eventualmente, ‘danno esistenziale’; oppure
d)      adeguare le Tabelle territoriali ai valori ed alle voci dettate dalle SS.UU. (come ha fatto il Tribunale di Milano).
Il rischio, invece, è che, in virtù di una facile ma erronea ‘traslazione’, anche Tribunali che tradizionalmente non applicano le Tabelle milanesi (come ad esempio Roma), vi si possano adeguare solo in quanto sono ‘le uniche che sono conformi alle indicazioni delle SS.UU.’. Circostanza di per sé vera, ma che comporterebbe l’applicazione di parametri socio-economici di base palesemente non conformi a quelle reali del Tribunale di riferimento.
La sentenza citata, allora, rappresenta in maniera semplice un attento ed importante monito contro una possibile (ma già presente…) ‘traslazione’ dei valori delle tabelle milanesi in tutti i Tribunali d’Italia, sulla base di un presupposto insufficiente, non necessario e che porta ad un’applicazione non corretta, ovvero per essere gli ‘unici’ ad essersi, ad oggi, adeguati alle indicazioni delle SS.UU.
Affrontando invece tre casi interessanti per il ‘merito’ del danno esistenziale, possiamo partire dalla sentenza del Tribunale di Bassano del Grappa del 14 – 20 luglio 2010, che tratta di immissioni sonore. Nel caso di specie, si è trattato di immissioni subite da vicini di una fattoria che triturava in situ  il mangime per gli animali, creando immissioni rumorose che superavano abbondantemente la soglia di ‘normale tollerabilità’ (pur a fini produttivi).
Quello che interessa, della sentenza, è da ravvisarsi, a nostro avviso, non tanto nel riconoscimento del ‘danno alla vita di relazione’ nel caso di specie, quanto nel superamento dell’onere della prova, palesemente assente nel testo delle motivazioni. Infatti, conclude il Tribunale, “deve rilevarsi come le riscontrate immissioni rumorose, una volta accertato l’effettivo superamento della soglia di normale tollerabilità, si presentino sicuramente idonee ad incidere sulla salute degli attori e a condizionarne la vita di relazione”. Come si anticipava, non è stata data alcuna prova del pregiudizio esistenziale, ritenuto ‘in re ipsa’…
Oltretutto, tale riconoscimento implicito viene anche, diciamo così, ‘qualificato’ in due voci differenti, per ‘incidenza sulla salute degli attori’ e per ‘condizionamenti sulla vita di relazione’, ma senza che, appare opportuno dirlo, nella causa venisse fatto alcun accertamento di natura medica sulla persona degli attori. Il Giudice di Bassano del Grappa, oltretutto, in maniera in qualche modo contraddittoria, sottolinea peraltro che non possa ritenersi ‘non autonomamente risarcibile’ il ‘pregiudizio di tipo esistenziale’, ‘anche qualora lo stesso non si manifesti sotto forma di degenerazioni patologiche’, richiamando, a conferma di tale assunto, le note sentenze delle SS.UU., che però “prescrivono […] la verifica del puntuale assolvimento dell’onere della prova in ordine al lamentato danno”.
Come si vede, quindi, se da un lato è da salutare, a nostro avviso positivamente, una continuata ed approfondita riflessione sull’autonomia del danno ‘esistenziale’ rispetto a quello ‘biologico’, dall’altro si deve essere però puntuali nella sua autonoma identificazione, aspetto che, nel caso citato, non appare essere stato sufficientemente approfondito.
Diverso e più analitico percorso, invece, è stato quello affrontato dal Tribunale di Nocera Inferiore, nella sentenza del 13 luglio 2010, avente ad oggetto l’interruzione del servizio di fornitura di acqua potabile per un’intera settimana.
In tale circostanza, infatti, si è dimostrata fondamentale una ‘prova testimoniale’, attraverso la quale si è dato atto delle “difficoltà ad attendere all’igiene personale e della casa, all’impossibilità di usare acqua calda ed elettrodomestici” e della “necessità di attingere acqua presso altri Comuni limitrofi al fine di soddisfare le esigenze di vita primarie e basilari, disagi che, ripercuotendosi sul diritto alla qualità della vita ed alla libera estrinsecazione della personalità, costituzionalmente garantito dall’art. 2 Cost […] fanno riconoscere il risarcimento del danno esistenziale”. Si potrebbe anche notare che il caso in questione è uno di quei casi in cui potrebbe anche a ragione desumersi il danno in base a fatti notori, essendo l’acqua un bene fondamentale la cui mancanza, ancor più dell’energia, incide pesantemente sulla ‘qualità della vita’ di ogni giorno; pur tuttavia, in questo caso le parti attrici si sono peritate di dare puntuale contezza di tali ‘difficoltà’, meritando il riconoscimento del danno, poi quantificato in maniera (quella si) equitativa ex art. 1226 C.c., in € 300,00 per tutto il periodo. In base alla stessa corretta ‘logica’, nel caso di specie, veniva invece rigettata la richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali, giudicati ‘non provati’.
Quarto e più qualificato esempio, infine, è dato dalla Corte d’Appello di Roma in una sentenza depositata il 20 luglio u.s., nella quale si rinviene, preliminarmente, una buona definizione del ‘danno esistenziale’, presentato come quel “danno determinante una modificazione peggiorativa della personalità da cui consegue uno sconvolgimento delle abitudini di vita con alterazione del modo di rapportarsi con gli altri nell’ambito della comune vita di relazione sia all’interno sia all’esterno del nucleo familiare, conseguente alla ingiusta violazione di valori essenziali costituzionalmente tutelati della persona”.
Dopo tale acuta e sottile definizione del danno esistenziale, che ben mette in relazione il danno, che viene definito ‘della personalità’, con le ‘abitudini di vita’ del soggetto danneggiato, il Giudice romano passa a verificare la sussistenza di tale tipologia di danno, nel caso di specie derivante da violazione della privacy per continue telefonate di natura commerciale da parte di una ben nota società commerciale.
Anche qui, a dire il vero, qualche incertezza interpretativa è individuabile, all’interno delle motivazioni della sentenza, in quanto se da un lato il Giudice dell’Appello ricorda che “la lesione dei diritti di rilevanza costituzionale va incontro alla sanzione risarcitoria per il fatto in sé della lesione (danno evento), indipendentemente dalle eventuali ricadute patrimoniali che la stessa possa comportare (danno conseguenza)”, traendo tale principio da Cass. n. 7713/2000; dall’altro, immediatamente dopo, specifica che “tuttavia, il danno non patrimoniale, costituendo pur sempre un danno-conseguenza, deve essere specificamente allegato e provato ai fini risarcitori, non potendo mai considerarsi in re ipsa (v. Cass. n. 20987/07)”, principio che sembra contraddire quanto detto nel paragrafo immediatamente precedente, e che pone il seguente dubbio: ma allora il danno esistenziale, in quanto per natura di derivazione costituzionale, è ‘danno evento’ o ‘danno conseguenza’?
La poca chiarezza, diciamo così, teorica del ragionamento che precede, si è riflessa, come spesso succede, anche nel merito della questione, dove, se il Tribunale di primo grado aveva stabilito che “non può escludersi l’astratta configurabilità di una qualche lesione della serenità familiare – riconducibile alla materia della privacy – dovuta al continuo squillare del telefono, con diretto disturbo anche delle comunicazioni telefoniche effettivamente indirizzate al titolare dell’utenza”, salvo poi rigettare, con una qualche contraddizione, la domanda per “difetto di prova” e condannare parte attrice al pagamento delle spese di giudizio, la Corte d’Appello rigetta nuovamente la domanda, sottolineando la “prova che l’appellante non ha fornito”. Salvo poi, però, non solo compensare le spese dell’appello per l’intero, ma anche riformare la sentenza di primo grado in ordine alle spese di giudizio, compensandole al 50%, sulla base dell’“accertato profilo di responsabilità della società appellata”.
Motivazione che inaspettatamente, date le premesse, torna così a sovrapporre il piano della ‘responsabilità’ con quello relativo ai ‘danni’; piani che così, pur solo nella parte relativa alle spese di giudizio, tradiscono ancora una volta, da parte degli interpreti, una non sufficiente differenziazione teorica e, di conseguenza, pratica, con le manifeste incertezze giurisprudenziali che continuano a presentarsi sotto i nostri occhi.
Avv. Antonio M. Polito