venerdì 16 dicembre 2011

Garante Privacy: provvedimento sulle telefonate 'mute'

Si riprende dal sito del Garante:

Telemarketing: stop alle telefonate "mute"Il Garante prescrive ad una società energetica misure per garantire tranquillità a utenti e consumatori
Il Garante privacy è intervenuto sul fenomeno delle cosiddette telefonate "mute", quelle cioè nelle quali il destinatario, dopo aver sollevato il ricevitore, non viene messo in comunicazione con alcun interlocutore. Sempre più numerosi sono gli abbonati che si rivolgono all'Autorità per segnalare la ricezione ripetuta e continua, a volte anche per 10-15 volte di seguito, di chiamate di questo tipo.
Il fenomeno nasce dall'uso da parte delle aziende di sistemi di instradamento automatico di telefonate allo scopo di porre in comunicazione gli utenti contattati con i call center addetti alla promozione di servizi e prodotti di quelle stesse aziende. Questi sistemi se impropriamente utilizzati possono provocare gravi disagi agli utenti.
E' quanto accaduto con una grande società energetica, la prima ad essere finita nel mirino del Garante. Il sistema utilizzato dalla società prevedeva infatti la possibilità dell'inoltro ai vari call center di un numero di telefonate anche molto superiore alla capacità ricettiva degli operatori. Questo al fine di evitare tempi morti o inattività. La conseguenza però era che non per tutte le chiamate c'era sempre un operatore disponibile. Chi rispondeva si trovava dunque di fronte ad una telefonata "muta" che, soprattutto se ripetuta, provocava negli utenti fastidi e anche allarme.
L'Autorità ha dunque prescritto una serie di misure per evitare di insidiare la tranquillità di utenti e consumatori. E' necessario infatti che chi si dota di sistemi di chiamata di questo tipo utilizzi accorgimenti che impediscano la reiterazione di una telefonata "muta" ed escludano la possibilità di chiamare quel numero per almeno trenta giorni.
In caso di mancato adempimento alle misure prescritte la società rischia una sanzione amministrativa che va da 30mila a 120mila euro.
Roma, 15 dicembre 2011

venerdì 9 dicembre 2011

I primi limiti al telemarketing (per i clienti professionisti)

Dall'ultima Newsletter del Garante della Privacy (provvedimento al link):

L'offerta commerciale deve essere strettamente funzionale all'attività del professionista.
I dati contenuti negli albi professionali possono essere utilizzati per telefonate commerciali solo se il promotore ha già acquisito il consenso dell'interessato o se presenta offerte strettamente attinenti l'attività svolta dal professionista contattato. Lo ha chiarito il Garante privacy che ha vietato ad una società di utilizzare per scopi promozionali i dati personali di un avvocato che si era lamentato di essere stato disturbato in ufficio con offerte di servizi di telefonia destinati all'utenza business.
Nella richiesta all'Autorità, il legale evidenziava come la presenza dei propri dati personali e, quindi, anche del proprio recapito telefonico nell'albo degli avvocati, anche in versione on line, costituisse un obbligo di legge e non implicasse alcun consenso a ricevere telefonate promozionali. Al fine di non essere più disturbato, l'utente si era anche iscritto nel Registro pubblico delle opposizioni. La società si è difesa affermando che i servizi di telefonia business proposti riguardavano l'attività professionale dell'utente e che si trattava pertanto di un utilizzo perfettamente lecito di dati estratti da un albo professionale on line consultabile da chiunque. Dai riscontri del Garante è invece emerso che l'offerta commerciale era generica e non "direttamente funzionale" alla professione forense, non giustificando così l'eventuale esonero dall'acquisizione del consenso.

mercoledì 7 dicembre 2011

AGCOM: Chiarimenti interpretativi sulla normativa in materia di diffusione sui servizi di media audiovisivi di film vietati ai minori di anni 18 e 14.

Importanti chiarimenti dell'AGCOM sull'interpretazione della normativa sui servizi televisivi a tutela dei minori: continuiamo ad interessarci a questa delicata materia...
Riprendiamo dalla documentazione ufficiale AGCOM.


La Commissione per i servizi e i prodotti dell’Autorità, nella riunione del 17 novembre 2011, ha apportato alcune integrazioni ai chiarimenti interpretativi sulla normativa in materia di diffusione sui servizi di media audiovisivi di film vietati ai minori di anni 18 e 14, di cui al precedente comunicato del 22 luglio 2011. Di seguito si pubblica il testo aggiornato.

L’Autorità ha riscontrato l’esistenza di divergenze interpretative delle disposizioni legislative contenute nel Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici che disciplinano la diffusione dei film cinematografici classificati come vietati ai minori.
Al fine della uniformità di comportamento da parte dei soggetti interessati, si ritiene, pertanto, opportuno esplicitare i criteri cui l’Autorità informa la propria attività di vigilanza in materia.

1. IL DETTATO NORMATIVO IN MATERIA DI DIFFUSIONE DEI FILM VIETATI.
La normativa nazionale in materia è recata dall’articolo 34 (disposizioni a tutela dei minori), del Decreto legislativo 31 luglio 2005, n.177 (Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici) nel testo novellato dal Decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 44.
Il primo comma contiene una norma di portata generale che vieta “le trasmissioni che, anche in relazione all’orario di diffusione, possono nuocere gravemente allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori o che presentano scene di violenza gratuita o insistita o efferata ovvero pornografiche, salve le norme speciali per le trasmissioni ad accesso condizionato, che comunque impongano l’adozione di un sistema di controllo specifico e selettivo che vincoli all’introduzione del sistema di protezione tutti i contenuti di cui al comma 3” .
In altri termini, per i programmi ad accesso condizionato il divieto di cui al comma 1 non è assoluto: la legge nazionale demanda ad una specifica regolamentazione la determinazione di condizioni, vincoli, modalità e misure tecniche che ne rendano impossibile la visione da parte dei minori. L’elemento indefettibile posto dalla legge a garanzia dei minori, che assicura l’efficacia della loro tutela, è l’esistenza di un blocco da rimuovere per la visione dei programmi gravemente lesivi per i minori stessi:il contenuto classificabile a visione non libera di cui al comma 1 è offerto con una funzione di controllo parentale che inibisce l'accesso al contenuto stesso, salva la possibilità per l'utente di disattivare la predetta funzione tramite la digitazione di uno specifico codice segreto che ne renda possibile la visione” (comma 5, lett. a).
Il secondo comma dell’articolo in esame vieta i programmi che possono nuocere allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni, a meno che la scelta dell'ora di trasmissione o qualsiasi altro accorgimento tecnico escludano che i minorenni che si trovano nell'area di diffusione assistano normalmente a tali programmi.
Il successivo comma 3 del citato articolo 34, disciplina la messa in onda, anche a pagamento, dei film ai quali sia stato negato il nulla osta per la proiezione o la rappresentazione in pubblico o che siano stati vietati ai minori di anni diciotto nonché dei programmi classificabili a visione per soli adulti, ivi compresi quelli forniti a richiesta, e ne vieta su tutte le piattaforme la trasmissione dalle ore 7,00 alle ore 23,00, "fermi il rispetto delle norme a tutela dei minori e di quanto previsto dai commi 1 e 2 del presente articolo...", in questo modo consentendo, nella fascia oraria dalle ore 23,00 alle 7,00, le trasmissioni ad accesso condizionato con parental control.
Il comma 4 regola, poi, i film vietati ai minori di anni quattordici e stabilisce che non possono essere trasmessi, sia in chiaro che a pagamento, ne' forniti a richiesta, sia integralmente che parzialmente, prima delle ore 22,30 e dopo le ore 7,00.
Infine, il comma 5, stabilisce che l’Autorità , al fine di garantire un adeguato livello di tutela della dignità umana e dello sviluppo fisico, psichico e morale dei minori, adotta, con procedure di co-regolamentazione, la disciplina di dettaglio contenente l’indicazione degli accorgimenti tecnicamente realizzabili idonei ad escludere che i minori vedano o ascoltino normalmente i programmi di cui al comma 3, fra cui l’uso di numeri di identificazione personale e sistemi di filtraggio o di identificazione, nel rispetto dei seguenti criteri generali: 
a) il contenuto classificabile a visione non libera sulla base del sistema di classificazione di cui al comma 1 è offerto con una funzione di controllo parentale che inibisce l’accesso al contenuto stesso, salva la possibilità per l’utente di disattivare la predetta funzione tramite la digitazione di uno specifico codice segreto che ne renda possibile la visione;
b) il codice segreto dovrà essere comunicato con modalità riservate, corredato dalle avvertenze in merito alla responsabilità nell’ utilizzo e nella custodia del medesimo, al contraente maggiorenne che stipula il contratto relativo alla fornitura del contenuto o del servizio”.

2. INTERPRETAZIONE DELLA NORMA: I FILM VIETATI AI MINORI DI 14 ANNI.
Poiché il comma 1 espressamente ricomprende nella categoria delle trasmissioni che possono nuocere gravemente allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori o che presentano scene di violenza gratuita o insistita o efferata ovvero pornografiche, “i contenuti di cui al comma 3”, ne consegue che il comma 3 costituisce una specificazione (relativa ai film ai quali sia stato negato il nulla osta per la proiezione o la rappresentazione in pubblico o che siano stati vietati ai minori di anni diciotto nonché dei programmi classificabili a visione per soli adulti) del comma 1, norma generale per i programmi che possono nuocere gravemente allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori o che presentano scene di violenza gratuita o insistita o efferata ovvero pornografiche. Nel comma 3 si individua espressamente (per i film in esso indicati) la fascia oraria di divieto assoluto, compresa tra le ore 7 e le ore 23; fuori dei confini di tale fascia il riferimento al comma 1 serve a condizionare la loro trasmissibilità all’adozione di misure tecnologiche tali da escludere l’accesso dei minori a tali programmi. All’interno della fascia oraria indicata dal comma 3 la programmazione appare, quindi, vietata senza nessuna deroga.
Allo stesso modo il comma 4 contiene una espressa disciplina limitativa per i film vietati ai minori di quattordici anni, indicando l’orario in cui vige il divieto di trasmissione; tali film sembrano rientrare, per criterio residuale data la loro attenuata lesività, nella categoria generale dei programmi nocivi (e non gravemente nocivi) di cui al comma 2 e, pertanto, la disposizione del comma 4 deve essere interpretata coordinandola proprio con il comma 2, che ammette la trasmissione di tali programmi anche fuori dalla fascia oraria consentita quando qualsiasi accorgimento tecnico unitamente all’avvertenza acustica o alla identificazione all’inizio e nel corso della trasmissione mediante la presenza di un simbolo visivo, che deve accompagnare la messa in onda sia in chiaro che a pagamento dei contenuti potenzialmente pregiudizievoli per lo sviluppo fisico, psichico e morale dei minoriescluda che i minorenni che si trovano nell'area di diffusione assistano normalmente a tali programmi (“…a meno che la scelta dell'ora di trasmissione o qualsiasi altro accorgimento tecnico escludano che i minorenni che si trovano nell'area di diffusione assistano normalmente a tali programmi;”); fuori dalla detta fascia oraria appare quindi applicabile, per i film vietati ai minori di quattordici anni, la norma del comma 2 nella sua interezza (ivi compreso il periodo finale: “qualora tali programmi siano trasmessi, sia in chiaro che a pagamento, essi devono essere preceduti da un’avvertenza acustica ovvero devono essere identificati, all’inizio e nel corso della trasmissione, mediante la presenza di un simbolo visivo”).
Alla luce di quanto previsto dalla normativa, si può ritenere che l’offerta di contenuti che possono nuocere allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni di cui al comma 2 (fra i quali vanno ricompresi i film vietati ai minori di quattordici anni) sia condizionata dall'ora di trasmissione o in alternativa dall’adozione delle misure che assicurano effettivamente l’esclusione dell’accesso a bambini e adolescenti.
Pertanto, non appare violativa del detto combinato disposto normativo la trasmissione di un film vietato ai minori di quattordici anni nella fascia oraria di televisione per tutti, con utilizzo del parental control, purché questo assicuri in maniera effettiva e concreta l’esclusione dell’accesso a bambini e adolescenti.
Diversamente, laddove non siano adottate le misure che assicurino l’esclusione dell’accesso a bambini e adolescenti unitamente all’avvertenza o alla segnaletica, il film vietato ai minori di anni 14 non potrà essere trasmesso fuori della fascia oraria consentita dal comma 4.

3. INTERPRETAZIONE DELLA NORMA: I FILM VIETATI AI MINORI DI 18 ANNI.
Relativamente alla trasmissione di film vietati ai minori di anni 18, l'adozione del parental control in accesso condizionato, realizzato secondo quanto previsto dal regolamento di cui all’articolo 34, comma 11, del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici approvato con delibera n 220/11/CSP del 22 luglio 2011, abbinata alla messa in onda dopo le ore 23.00 e fino alle ore 7.00, soddisfa i requisiti richiesti dalla legge per la trasmissione di film vietati ai minori di anni 18.

lunedì 5 dicembre 2011

CORTE DI GIUSTIZIA UE: Italia condannata per limitata responsabilità civile dei magistrati

Dal 2006 (con la famosa sentenza c.d. 'Traghetti del Mediterraneo', C-173/03), una seconda sentenza (C-379/10) ha condannato, il 24 novembre u.s., l'Italia per la mancanza di responsabilità civile dei magistrati nei casi previsti dalle fonti europee.
Di sèguito ampli stralci dalle motivazioni:

[...]
"30      Si deve rilevare che, al di fuori dei casi di dolo e di diniego di giustizia, l’art. 2, primo comma, della legge n. 117/88 prevede che la responsabilità dello Stato italiano per violazione del diritto dell’Unione può sorgere qualora un magistrato abbia commesso «colpa grave» nell’esercizio delle proprie funzioni. Quest’ultima nozione viene definita nel successivo terzo comma, lett. a), quale «grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile». Ai sensi del secondo comma del medesimo articolo, nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’interpretazione di norme di diritto né la valutazione dei fatti e delle prove. 
31      In primo luogo, la Commissione contesta alla Repubblica italiana di escludere, per effetto dell’art. 2, secondo comma, della legge n. 117/88, qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni causati a singoli derivanti da una violazione del diritto dell’Unione compiuta da uno dei suoi organi giurisdizionali di ultimo grado, qualora tale violazione derivi dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione dei fatti e delle prove effettuate dal giudice medesimo.
32      A sostegno di tale primo addebito la Commissione deduce che tale disposizione costituisce una clausola di esclusione di responsabilità autonoma rispetto al disposto di cui ai commi 1 e 3 del medesimo art. 2.
33      Si deve ricordare, a tal riguardo, che, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 117/88, la normativa italiana in materia di responsabilità dello Stato per i danni causati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie prevede, da un lato, ai commi 1 e 3 di tale articolo, che tale responsabilità è limitata ai casi di dolo, di colpa grave e di diniego di giustizia, e, dall’altro, al secondo comma dell’articolo stesso, che «non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove». Dall’esplicito tenore di quest’ultima disposizione emerge che tale responsabilità resta esclusa, in via generale, nell’ambito dell’interpretazione del diritto e della valutazione dei fatti e delle prove. 
[…]
35      Orbene, ai punti 33-40 di tale sentenza [Traghetti del Mediterraneo, n.d.r.], la Corte ha affermato che il diritto dell’Unione osta ad una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la violazione controversa risulti da un’interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale.
[...]
37            […] lo Stato membro convenuto non ha fornito alcun elemento in grado di dimostrare validamente che, nell’ipotesi di violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado, tale disposizione venga interpretata dalla giurisprudenza quale semplice limite posto alla sua responsabilità qualora la violazione risulti dall’interpretazione delle norme di diritto o dalla valutazione dei fatti e delle prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo, e non quale esclusione di responsabilità.
[...]
39      In secondo luogo, la Commissione contesta alla Repubblica italiana di limitare, in casi diversi dall’interpretazione delle norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove, la possibilità di invocare la responsabilità dello Stato italiano per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado ai soli casi di dolo o di colpa grave, il che non sarebbe conforme ai principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte. A tal riguardo, la Commissione sostiene, segnatamente, che la nozione di «colpa grave», di cui all’art. 2, commi 1 e 3, della legge n. 117/88, viene interpretata dalla suprema Corte di cassazione in termini coincidenti con il «carattere manifestamente aberrante dell’interpretazione» effettuata dal magistrato e non con la nozione di «violazione manifesta del diritto vigente» postulata dalla Corte ai fini del sorgere della responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione.
[...]
41      La responsabilità dello Stato per i danni causati dalla decisione di un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado che violi una norma di diritto dell’Unione è disciplinata dalle stesse condizioni, ove la Corte ha tuttavia precisato che, in tale contesto, la seconda di dette condizioni dev’essere intesa nel senso che consenta di invocare la responsabilità dello Stato solamente nel caso eccezionale in cui il giudice abbia violato in maniera manifesta il diritto vigente (v. sentenza Köbler, cit., punti 52 e 53). 
42      Dalla giurisprudenza della Corte emerge, inoltre, che, se è pur vero che non si può escludere che il diritto nazionale precisi i criteri relativi alla natura o al grado di una violazione, criteri da soddisfare affinché possa sorgere la responsabilità dello Stato in un’ipotesi di tal genere, tali criteri non possono, in nessun caso, imporre requisiti più rigorosi di quelli derivanti dalla condizione di una manifesta violazione del diritto vigente (v. sentenza Traghetti del Mediterraneo, cit., punto 44 nonché la giurisprudenza ivi citata).
43      Nella specie, si deve rilevare che la Commissione ha fornito, alla luce, segnatamente, degli argomenti riassunti supra al punto 16, elementi sufficienti da cui emerge che la condizione della «colpa grave», di cui all’art. 2, commi 1 e 3, della legge n. 117/88, che deve sussistere affinché possa sorgere la responsabilità dello Stato italiano, viene interpretata dalla suprema Corte di cassazione in termini tali che finisce per imporre requisiti più rigorosi di quelli derivanti dalla condizione di «violazione manifesta del diritto vigente».
[...]
48      Conseguentemente si deve dichiarare che:
–        escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, qualora tale violazione risulti da interpretazione di norme di diritto o di valutazione di fatti e prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo, e
–        limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave, ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge n. 117/88,
la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado.
[...] 
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:
1)      La Repubblica italiana, 
–        escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, qualora tale violazione risulti da interpretazione di norme di diritto o da valutazione di fatti e prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo, e 
–        limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave, ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge 13 aprile 1988, n. 117, sul risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado. 
2)      La Repubblica italiana è condannata alle spese."

venerdì 2 dicembre 2011

TRASPORTO AEREO: ANTITRUST AVVIA ISTRUTTORIA SU ALITALIA-CAI PER VERIFICA SU CONCORRENZA

Sotto analisi, oltre alla rotta Fiumicino-Linate, altre 17 rotte. La compagnia dovrà rimuovere le situazioni di monopolio e di dominanza eventualmente accertate. Il procedimento dovrà chiudersi entro il 29 febbraio 2012.

IL COMUNICATO STAMPA

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nella riunione del 30 novembre 2011, presieduta dal nuovo presidente Giovanni Pitruzzella, ha avviato - in applicazione della legge 27 ottobre 2008 n. 166 - l’istruttoria per individuare gli effetti sul mercato della fusione Alitalia-Cai. La legge in questione aveva infatti inibito il potere di autorizzazione dell’Autorità sull’operazione del 2008 e rinviato di tre anni l’analisi per accertare la persistenza delle posizioni di dominanza eventualmente determinatesi e per indicare la data entro la quale rimuoverle.
L’Autorità ha contestualmente inviato alla società una richiesta di informazioni per avere il quadro della situazione di mercatoL’istruttoria dovrà infatti accertare la costituzione o il rafforzamento di posizioni dominanti a seguito dell’operazione nonché la loro persistenza a oggi sulla rotta Roma Fiumicino-Milano Linate e su altri 17 collegamenti, segnatamente: Roma Fiumicino-Bari, Roma Fiumicino-Brindisi, Roma Fiumicino-Catania, Roma Fiumicino-Genova, Roma Fiumicino-Lamezia Terme, Roma Fiumicino-Palermo, Roma Fiumicino-Pisa, Roma Fiumicino-Torino, Roma Fiumicino-Trieste, Roma Fiumicino-Venezia, Milano Linate-Bari, Milano Linate-Brindisi, Milano Linate-Lamezia Terme, Milano Linate-Napoli, Milano Linate-Palermo, Napoli-Torino e Napoli-Venezia.
Nel corso dell’istruttoria, che dovrà chiudersi entro il 29 febbraio 2012, verranno valutati anche gli eventuali effetti pro concorrenziali creati dall’ingresso di nuovi operatori del trasporto aereo passeggeri e lo sviluppo di forme di concorrenza intermodale sulle rotte interessate.
L’Autorità ha inoltre fissato al 28 ottobre 2012, in corrispondenza dell’inizio della stagione IATA “Winter 2012/2013”, il termine entro il quale la società dovrà rimuovere le situazioni di monopolio o di dominanza eventualmente accertate. La stagione IATA “Winter 2012/2013” rappresenta la prima data utile essendo stato già determinato il piano operativo dei voli per la stagione “Summer 2012”.
Roma, 2 dicembre 2011

venerdì 11 novembre 2011

Il Regolamento per la tutela dei minori contro i film in Tv vietati ai minori di 18 anni

Della serie 'documenti utili e poco conosciuti', sperando di fare cosa gradita oggi postiamo l'Allegato 'A' alla delibera n. 220/11/CSP del 22 luglio 2011 dell'AGCOM, intitolato al «Regolamento in materia di accorgimenti tecnici da adottare per l’esclusione della visione e dell’ascolto da parte dei minori di film ai quali sia stato negato il nulla osta per la proiezione o la rappresentazione in pubblico, di film vietati ai minori di diciotto anni e di programmi classificabili a visione per soli adulti ai sensi dell’articolo 34, commi 5 e 11  del testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici».

1. I programmi di cui al comma 3, dell’articolo 34 del Testo Unico sono offerti dai fornitori di servizi media audiovisivi, con una funzione di controllo parentale che ne inibisca specificamente e selettivamente l’accesso, sin dalla prima utilizzazione e ad ogni successiva fruizione, salvo quanto previsto al successivo comma 3 circa la facoltà di eliminazione del controllo. 
2. L’abilitazione alla visione dei predetti programmi può avvenire esclusivamente mediante l’inserimento, da parte dell’utente maggiorenne, di un codice segreto personale specifico e individualizzato. Non costituisce codice segreto idoneo a tale scopo il PIN standard preimpostato dal produttore del dispositivo di accesso, reperibile normalmente nel manuale di istruzioni dello stesso o fornito mediante altre modalità. Tale PIN standard preimpostato può essere utilizzato per l’accesso a una procedura di personalizzazione del codice segreto necessaria per consentire la visione dei contenuti classificati per soli adulti.
3. I fornitori di servizi media audiovisivi che intendano offrire i programmi di cui al comma 3, dell’articolo 34, rendono note all’utente maggiorenne, con  apposite modalità riservate, la funzione di controllo parentale e le procedure per  l’impostazione del codice segreto abilitante alla visione. E’ fatta salva, in ogni caso, la libertà dell’utente maggiorenne di eliminare stabilmente la funzione di controllo parentale mediante procedure che saranno allo stesso comunicate secondo le predette modalità. L’utente potrà altresì, riattivare in ogni momento l’inibizione alla visione di tali programmi nonché ripersonalizzare il PIN. Alla luce di quanto disposto dalle Delibere 606/10/CONS e 607/10/CONS in merito alla relativa entrata in vigore, la presente disposizione non si applica, allo stato, ai programmi trasmessi su piattaforma WebTV o tramite Connected TV, salvo quanto previsto al successivo punto 7.
4. I fornitori di servizi media audiovisivi che offrono i contenuti di cui al comma 3 dell’articolo 34 del Testo Unico forniscono, inoltre, la descrizione della funzione di controllo parentale e delle procedure di funzionamento sui propri siti web nonché adeguata ed esauriente informazione sulla classificazione dei contenuti di cui al decreto del Ministro dello Sviluppo Economico del 1° aprile 2011attuativo dell’articolo 34, comma 1 del Testo Unico dei servizi media audiovisivi.
5. I fornitori di servizi di media audiovisivi che trasmettono i contenuti di cui al comma 3 dell’articolo 34 del Testo Unico adeguano le procedure tecniche per garantire l’osservanza delle previsioni di cui al precedente punto 2. entro sei mesi dalla entrata in vigore del presente regolamento, e a tal fine operano con la massima diligenza, nei loro rapporti con i produttori e/o importatori di apparecchi di ricezione e anche attraverso i loro enti associativi, al fine di assicurare nel predetto termine la conformità alle disposizioni del presente regolamento dei dispositivi di ricezione messi in commercio. 
6. Con riferimento ai dispositivi di ricezione già installati e quelli attualmente in commercio, i fornitori di servizi di media audiovisivi che trasmettono i contenuti di cui al comma 3 dell’articolo 34 del Testo Unico porranno in essere adeguate attività informative anche personalizzate e individuali atte a sensibilizzare l'utenza adulta circa la necessità di impostare un PIN personalizzato per inibire la fruizione dei predetti contenuti da parte dei minori.
7. Per la definizione delle specifiche regole applicabili alla diffusione dei contenuti di cui al comma 3 dell’articolo 34 del Testo Unico nell’ambito di servizi di media audiovisivi a richiesta e lineari su altri mezzi trasmissivi di cui alle delibere nn. 606/10/CONS e 607/10/CONS sarà istituito con apposita separata delibera uno specifico Tavolo Tecnico, aperto alla partecipazione di rappresentanti degli ISP e dei fornitori di media audiovisivi a richiesta e lineari su altri mezzi trasmissivi.

venerdì 4 novembre 2011

Fastweb perde il pelo, ma non il vizio...? Nonostante le condanne, sono ancora difficili le restituzioni degli apparecchi...!

L’AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO
NELLA SUA ADUNANZA del 12 ottobre 2011;
SENTITO il Relatore Professore Carla Rabitti Bedogni;
VISTO la Parte II, Titolo III del Decreto Legislativo 6 settembre 2005, n. 206, recante “Codice del Consumo” e successive modificazioni (di seguito, Codice del Consumo);
VISTO, in particolare, l’art. 27, comma 12, del Codice del Consumo, in base al quale, in caso di inottemperanza ai provvedimenti di urgenza e a quelli inibitori o di rimozione degli effetti, l’Autorità applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 150.000 euro e nei casi di reiterata inottemperanza l’Autorità può disporre la sospensione dell’attività d’impresa per un periodo non superiore a trenta giorni;
VISTA la legge 24 novembre 1981, n. 689;
VISTA la propria delibera n. 18575 del 3 luglio 2008, con la quale l’Autorità ha accertato la scorrettezza della pratica commerciale posta in essere da Fastweb riguardante le informazioni, le procedure e gli ostacoli frapposti alla restituzione, al termine del rapporto contrattuale, degli apparati in comodato d’uso con l’applicazione delle relative penali a carico dei consumatori;
VISTI gli atti del procedimento;
CONSIDERATO quanto segue:
1. Con provvedimento n. 18575 del 3 luglio 2008, adottato a conclusione del procedimento “PS572 - Fastweb – Apparati in casa d’utente”, l’Autorità ha deliberato che il professionista Fastweb S.p.A. ha posto in essere una pratica commerciale scorretta, nel periodo compreso tra novembre 2007 e aprile 2008, ai sensi degli articoli 20, 21, 22, 24 e 25 del Codice del Consumo, consistente: a) nelle omissioni informative, rilevate nelle brochure Parla” e “Naviga”, in ordine al contributo di disattivazione della linea, nonché alla descrizione delle modalità di riconsegna dell’hag, fornito dal professionista in comodato d’uso, da restituire in caso di recesso; b) nell’assenza di indicazioni circa la penale da versare, in caso di mancata consegna del suddetto dispositivo; c) negli ostacoli e impedimenti posti in essere nelle modalità di restituzione degli apparati, che i consumatori non sono riusciti a consegnare, incorrendo automaticamente nell’addebito in fattura di penali, soprattutto a causa del rifiuto al ritiro opposto dai punti vendita di Fastweb. Alla luce di quanto precede, l’Autorità ha vietato l’ulteriore diffusione della pratica commerciale, comminando una sanzione di 145.000 euro.
2. La legittimità e la sanzione del predetto provvedimento sono state confermate dalle sentenze del TAR Lazio e del Consiglio di Stato.
3. Con richieste di intervento, pervenute nel periodo aprile 2009 - agosto 2011, alcuni consumatori e un’associazione di consumatori hanno segnalato la reiterazione della pratica commerciale, oggetto del provvedimento sopra citato, lamentando di aver incontrato notevoli ostacoli e impedimenti nel restituire al professionista gli apparati forniti in comodato d’uso. In particolare, gli ostacoli si sono concretizzati nella mancata comunicazione, da parte del professionista, delle modalità di restituzione dei suddetti dispositivi, nella diffusione di informazioni contraddittorie e fuorvianti per riconsegnare gli apparati, nel rifiuto opposto da alcuni rivenditori autorizzati che non hanno accettato di prenderli in consegna.
4. I segnalanti, inoltre, hanno lamentato che i suddetti impedimenti hanno comportato non solo l’addebito in fattura di penali per la mancata consegna degli apparati, ma anche la minaccia di esecuzione coattiva per non aver pagato le somme da loro richieste.
5. In risposta a diverse richieste di informazioni trasmesse al professionista, dopo la conclusione del procedimento PS572 Fastweb ha prodotto cinque note pervenute, rispettivamente, in data 12 maggio 2010, 16 giugno 2010, 20 luglio 2010, 21 ottobre 2010 e 23 dicembre 2010. Il professionista, nelle suddette comunicazioni, ha dichiarato di aver emesso a favore dei segnalanti note di credito relative agli importi indebitamente fatturati, riconoscendo, pertanto, la responsabilità dei ritardi verificatisi nella disattivazione degli account che hanno automaticamente comportato l’addebito in fattura delle penali per mancata consegna degli apparati e, in taluni casi, anche il ricorso a società di recupero crediti.
6. La pratica commerciale, pertanto, presenta il medesimo profilo di scorrettezza già accertato nel provvedimento n. 18575 del 3 luglio 2008. In particolare, la pratica continua a presentare omissioni informative in ordine alla mancata descrizione delle modalità di riconsegna degli apparati forniti dal professionista in comodato d’uso, nonché profili di aggressività riguardanti ostacoli e impedimenti nelle modalità di restituzione degli apparati che hanno comportato nei confronti dei consumatori l’addebito in fattura di importi per la ritardata consegna dei medesimi, nonché la minaccia di esecuzione coattiva, in alcuni casi, per il mancato pagamento delle somme contestate.
7. Il citato provvedimento n. 18575, del 3 luglio 2008, risulta comunicato al professionista in data 14 luglio 2008. Dalle evidenze documentali, risulta che la pratica ritenuta scorretta è stata nuovamente diffusa successivamente al 14 luglio 2008, quantomeno fino ad agosto 2011.
8. Ricorrono, in conclusione, i presupposti per l’avvio del procedimento previsto dall’art. 27, comma 12, del Codice del Consumo, volto all’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 150.000 euro.
RITENUTO, pertanto, che i fatti accertati possono integrare una fattispecie di inottemperanza alla delibera dell’Autorità n. n. 18575, del 3 luglio 2008, ai sensi dell’art. 27, comma 12, del Codice del Consumo;
DELIBERA
a) di contestare alla società Fastweb S.p.A. la violazione di cui all’art. 27, comma 12, del Codice del Consumo, per non aver ottemperato alla delibera dell’Autorità n. 18575, del 3 luglio 2008;
b) l’avvio del procedimento per eventuale irrogazione della sanzione pecuniaria di cui all’art. 27, comma 12, del Codice del Consumo;
c) che il responsabile del procedimento è la Dott.ssa Sonja Forenza;
d) che può essere presa visione degli atti del procedimento presso la Direzione Comunicazioni della Direzione Generale per la Tutela del Consumatore, dell’Autorità, dai legali rappresentanti della società Fastweb S.p.A., ovvero da persone da essa delegate;
e) che entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del presente provvedimento, gli interessati possono far pervenire all’Autorità scritti difensivi e documenti, nonché chiedere di essere sentiti;
f) che il procedimento deve concludersi entro centoventi giorni dalla data di notificazione del presente provvedimento.  Il presente provvedimento verrà notificato ai soggetti interessati e pubblicato nel Bollettino dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.  Avverso il presente provvedimento può essere presentato ricorso al TAR del Lazio, ai sensi dell'articolo 135, comma 1, lettera b), del Codice del processo amministrativo (Decreto Legislativo 2 luglio 2010, n. 104), entro sessanta giorni dalla data di notificazione del provvedimento stesso ovvero può essere proposto ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, ai sensi dell’articolo 8, comma 2, del Decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199, entro il termine di centoventi giorni dalla data di notificazione del provvedimento stesso.   

IL SEGRETARIO GENERALE Luigi Fiorentino
IL PRESIDENTE Antonio Catricalà

venerdì 28 ottobre 2011

Italia-Programmi.net: aggiornamenti dall'Autorità Antitrust - il comunicato del 26 ottobre u.s.


L’Antitrust sta ricevendo quotidianamente centinaia di denunce inviate da consumatori che ricevono solleciti di pagamento da parte della società Estesa Limited per un presunto abbonamento annuale a software scaricabili dal sito www.italia-programmi.net.
In proposito, l’Autorità intende fare presente che, con delibera adottata il 25 agosto scorso, in via cautelare, ha intimato alla società Estesa Limited di cessare l’invio dei solleciti di pagamento in quanto, in base alle prime valutazioni, essi appaiono riconducibili ad una condotta commerciale che viola il Codice del Consumo.
Si ricorda, pertanto, che tali solleciti sono inviati da Estesa Limited in palese violazione della delibera adottata il 25 agosto 2011.
L’Antitrust, che sta concludendo l’istruttoria avviata per pratica commerciale scorretta nei confronti di Estesa Limited, ha anche deciso di inviare alla Polizia Postale, alla Procura della Repubblica e alla Guardia di Finanza una segnalazione sul fenomeno in atto.

mercoledì 26 ottobre 2011

Ma che succede sul sito 'ITALIA-PROGRAMMI.NET'?

A sèguito delle numerose segnalazioni pervenute dagli utenti, l'associazione a difesa dei consumatori ADUC (aduc.it) la scorsa estate ha presentato una denuncia allAntitrust contro la societa’ Estesa Limited, che gestisce il sito di italiaprogrammi.net. A seguito di tale iniziativa l'Antitrust, il 29 agosto scorso, ha intimato alla società di cessare la sua condotta commerciale scorretta, ordinandole di:
- non pubblicizzare i servizi offerti come di “fruizione gratuita di software scaricabili dal sito www.italiaprogrammi.net”;
- evidenziare sul sito stesso che, al contrario, si tratta di un servizio a pagamento;
- abbandonare ogni attività di richiesta di pagamento nei confronti di quei consumatori che hanno reso noto alla società di non aver mai inteso sottoscrivere alcun contratto, attesa la natura occulta e scorretta dell'onerosità del servizio.
Italiaprogrammi.net ha quindi modificato la pagina di registrazione del sito, evidenziando nella pagina di registrazione al servizio “Crea il tuo account a soli 8 euro al mese”, come è stato accertato dall'Autorità a tutela del Mercato a metà settembre u.s.
L'ADUC ha pero' scoperto, grazie ad ulteriori segnalazioni degli utenti, che la modifica e' solo parziale, operando solo in orario lavorativo, mentre negli altri orari (quando è meno probabile fare controlli?) 'torna' la vecchia dicitura, che non specifica il costo del servizio ('Crea il tuo account').
L'ADUC dunque, in data 15 ottobre, ha nuovamente
segnalato l'accaduto all'Antitrust, tanto che l'Autorita' e' intervenuta nuovamente il 13 Ottobre scorso, intimando a questa societa' di ottemperare a quanto da essa gia' comunicato a fine agosto.

Per cui, FARE ATTENZIONE:
-                    il sito Italiaprogrammi.net NON E' un sito di download GRATUITO, ma prevede il pagamento di un abbonamento mensile di 8 euro;
-                    se vi siete già iscritti al sito, senza sapere che fosse a pagamento, inviate una lettera raccomandata a/r alla

Estesa Limited
Global Gateway 2478 Rue De La Perle
Providence, Mahe (Republic of Seychelles)

comunicando la nullità, l'annullamento o comunque la rescissione dal contratto data la nullità di clausole essenziali, e comunque sottoscritto in virtù di una condotta commerciale scorretta;
- se avete ricevuto o riceverete solleciti di pagamento da parte di detta Società con lettera raccomandata a/r, rispondete nella stessa maniera di cui al punto precedente. Qualora le comunicazioni invece arrivassero con lettera semplice, potranno essere altrettanto semplicemente ignorate;
- la stessa procedura dei punti precedenti dovrete seguire, qualora vi foste iscritti anche presso altri siti (tipo mydownload-club.info);
- in ogni caso, vi invitiamo ad informare di tali ulteriori richieste l'autorità Antitrust via posta, via internet (agcm.it) o anche a mezzo numero verde 800 166 661.
- potrete anche, in alternativa, informare l'Associazione Cittadinoeutente.it per le denunce del caso.

lunedì 24 ottobre 2011

Corecom Emilia Romagna c/ Vodafone: i limiti della Carta dei Servizi


Nello scorso settembre, il CORECOM Emilia-Romagna ha emesso un’interessante delibera con la quale ha condannato la VODAFONE ad un cospicuo risarcimento per violazione degli obblighi di tempistica attivazione di alcuni servizi.
La delibera appare interessante soprattutto per come affronta le tematiche inerenti le previsioni di risarcimento inserite nelle Carte dei Servizi. Si riprendono di sèguito i punti salienti della decisione:
In forza di contratto del 23 ottobre 2008, avente ad oggetto l’offerta “Vodafone InOffice Internet e Telefono Flat”, l’operatore avrebbe dovuto attivare il servizio Vodafone Station entro 20 giorni solari dal contratto, secondo quanto previsto dalla parte seconda, punto 3, della Carta del cliente di Vodafone per i servizi di telefonia fissa e di accesso a internet da postazione fissa. L’inadempimento, contestato dal gestore, non risulta provato. Al riguardo, si ritiene di dovere applicare e di doversi uniformare al principio sancito dalla Cassazione, secondo cui “In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore deve soltanto provare la fonte, negoziale o legale, del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza del’’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo della altrui pretesa, costituito dall'avvenuto esatto adempimento” (Cass. civ. Sez. Unite Sent., 06-04-2006, n. 7996). 
Pertanto, termine ultimo entro il quale Vodafone avrebbe dovuto attivare il servizio Vodafone Station si assume il 12 novembre 2008. A partire dal 13 novembre 2008 e sino alla disdetta, inviata dall’istante in data 16 febbraio 2009 e ricevuta dall’operatore in data 20 febbraio 2009, si ritiene di riconoscere in favore dell’istante la corresponsione di un indennizzo per ogni giorno di ritardo. A fronte di sessantasette giorni di ritardo, calcolati a far data dal 13 novembre 2008 e sino al 20 febbraio 2009, con esclusione dei sabati e delle domeniche, applicando l’indicatore 3 (“Tempo massimo per l’attivazione del servizio”) della parte terza della Carta del cliente di Vodafone per i servizi di telefonia fissa e di accesso a internet da postazione fissa, che prevede 10,00 euro per ogni giorno di ritardo per ogni ordine ricevuto (fino ad un massimo di 50,00 euro), si giunge al riconoscimento di un indennizzo pari ad euro 670,00. Tale cifra si ritiene proporzionata rispetto al disagio subito dall’utente, tenuto anche conto del grado di attivazione di quest’ultimo in ordine alla tempestiva segnalazione del disservizio al servizio clienti. Sulla quantificazione dell’indennizzo occorre infatti rinviare alla costante prassi di questo Ufficio (cfr. ex multis dell. 3/2010 e 12/2010) e della stessa AGCOM, che si intende qui richiamata, in materia di applicazione dei limiti massimi di liquidazione previsti dalle Carte di servizi. L’applicazione di tali limiti massimi infatti non è possibile laddove la somma così liquidata non sia proporzionale al pregiudizio arrecato (art. 11, c. 2, del. AGCOM 179/03/CSP), attesa la necessità che l’indennizzo sia adeguato, ossia corrispondente rispetto al pregiudizio subito. Ad ogni modo, dall’inadempimento di Vodafone relativo alla mancata attivazione del servizio Vodafone Station discende l’illegittimità degli addebiti di costi per “Attivazioni/Canoni Connettività” relativi al suddetto servizio non attivato. Si ritiene, pertanto, di accogliere la richiesta di rimborso in favore dell’istante di euro 496,48, così come dallo stesso formulata. A ciò deve aggiungersi il riconoscimento in favore dell’istante di un indennizzo per il ritardo nel riaccredito di somme addebitate e pagate ingiustamente, secondo quanto previsto dalla parte terza, punto I, indicatore 2, della Carta del cliente di Vodafone per i servizi di telefonia fissa e di accesso a internet da postazione fissa, che prevede la corresponsione di euro 5,00 per ogni giorno di ritardo, fino ad un massimo di 50 euro. In ordine all’arco temporale individuato dall’istante e ricompreso tra la data di presentazione dell’istanza di conciliazione (4 maggio 2009) e la data della proposta transattiva avente ad oggetto il riaccredito in questione (30 novembre 2009), per un totale di centocinquanta giorni, esclusi sabati e domeniche, applicando euro 5,00 per ogni giorno, si individua un indennizzo pari ad euro 750,00. Tale cifra si ritiene proporzionale al disagio subito dall’istante, secondo le argomentazioni che precedono in materia di quantificazione degli indennizzi.
[…]
c) La domanda deve essere accolta. Secondo quanto affermato dall’istante, in data 24 marzo 2009 Vodafone sospendeva la linea telefonica mobile per presunta morosità a causa del pagamento parziale della fattura n. 8007103161 del 30 gennaio 2009 dalla quale [il Sig. XXX] aveva decurtato i costi di attivazione e canoni relativi al servizio Vodafone Station pari ad euro 123,74. A seguito della sospensione ed al fine di vedersi riattivata l’utenza mobile, l’istante, alla fine di aprile 2009, provvedeva a pagare la somma non dovuta decurtata dalla fattura di cui sopra. Solo successivamente al suddetto pagamento la linea mobile veniva riattivata. Alla luce di quanto affermato dall’istante e non specificamente comprovato in senso contrario da controparte, si ritiene di riconoscere in favore [del Sig. XXX] la corresponsione di un indennizzo per illegittima sospensione in quanto non preceduta da adeguato e congruo preavviso e a nulla rilevando la disdetta ricevuta da Vodafone in data 20 febbraio 2010, risultando riferita limitatamente al servizio Vodafone Station mai attivato dal gestore. Dal 24 marzo 2010 al 30 aprile 2010, a fronte di ventisette giorni di indebita sospensione, in assenza della specifica previsione di un indennizzo per illegittima sospensione ad opera della Carta del cliente di Vodafone per i servizi mobili, si ritiene di procedere in via analogica applicando quanto previsto dalla stessa carta per l’ipotesi di mancata attivazione del servizio. Pertanto, secondo quanto previsto per i servizi mobili dalla parte terza, punto II, indicatore 9, si applica un indennizzo di euro 10,33 per ogni giorno di ritardo, fino ad un massimo di euro 51,65. Considerato che vengono in rilievo ventisette giorni di illegittima sospensione, esclusi sabati e domeniche, si riconosce a favore dell’istante un indennizzo pari ad euro 278,91. Tale cifra si ritiene proporzionale al disagio subito dall’istante e si rinvia a quanto detto sopra in ordine al superamento dei limiti massimi in materia di quantificazione degli indennizzi.”

lunedì 17 ottobre 2011

IVA SU TARSU/TIA n.2: Il Diavolo nella Procedura...

Note su alcuni aspetti procedurali dopo il D. L. n.78/2010
L’intervento legislativo di cui all’art. 14, comma 33, del D.L. n.78/2010, convertito con L. n.122/2010, che ha inteso introdurre una lettura si direbbe ‘imperativa’, più che autentica, della natura della ‘tariffa integrata ambientale’ (T.I.A.) prevista dall’art.238 del D.Lgs. n. 152/2006 (cfr. articolo precedente), non ha mancato di incidere anche sugli aspetti più strettamente processuali della materia, specificando come “le controversie relative alla predetta tariffa, sorte successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, rientrano nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria”.
Da un certo punto di vista, la previsione sarebbe diretta e naturale conseguenza della interpretazione data dal legislatore: atteso che, a seconda della natura della ‘tariffa’, per pacifica interpretazione giurisprudenziale, la competenza giurisdizionale sarebbe del Giudice Ordinario (se avesse natura di ‘corrispettivo per un servizio’) ovvero del Giudice Tributario (se avesse natura di ‘tributo’), la previsione della competenza del Giudice Ordinario appare del tutto consequenziale, se non addirittura pleonastica.
Tuttavia, nella sua formulazione, tale specificazione pone già un primo ordine di problemi, ovvero: a quale ‘tariffa’ si riferisce la norma? Si direbbe, stando alla lettera dell’articolo, solo a quella prevista dal D. Lgs. 152/2006, ma se così effettivamente fosse, ciò potrebbe indurre a ritenere che:
a)      per formulare le proprie richieste, si dovrebbe essere certi della tipologia di ‘tariffa’ applicata dall’Ente gestore del servizio, atteso che non tutti i gestori hanno nel tempo adottato la ‘tariffa’ di cui alla normativa del 2006, ma alcuni hanno continuato a riferirsi alla normativa precedente;
b)      la promozione di un procedimento per l’ottenimento di un rimborso dell’IVA, dovrebbe incardinarsi innanzi al Giudice Ordinario per le richieste sulle voci successive al 2006 (in base alla tariffa di cui al D. Lgs. del 2006: cfr. lettera ‘a’), mentre sarebbe da incardinare innanzi al Giudice Tributario per quelle precedenti a tale data…
Ma così semplice, a ben vedere, la questione non è, atteso che, come sottolineato nella Circolare n.3 del 2010 del Ministero delle Finanze (cfr. articolo precedente), “si applicano anche alla TIA1 le nuove disposizioni recate dall’art. 14, comma 33, del D. L. n.78/2010”… Pertanto, sulla scorta di tale (ulteriore) ‘interpretazione’, secondo il parere del Ministero delle Finanze le domande di rimborso per i contributi IVA successive al maggio 2010 dovrebbero presentarsi innanzi al Giudice Ordinario anche per i contributi precedenti il 2007. Con il conseguente rischio che:
-          in caso si adisca solo il Giudice Ordinario (per l’IVA pagata prima e dopo il 2007), ci si espone al rischio di una eccezione d’incompetenza del Giudice adito per la parte di IVA precedente il 2007;
-          in caso si interpellino entrambi i Giudici (Tributario per la parte precedente il 2007, Ordinario per la parte successiva), ci si potrà vedere sollevare l’eccezione di incompetenza del primo in favore del secondo, anche per il periodo precedente il 2007…
Ma le incertezze non sono certo finite qui.
Dato che, per i suesposti motivi, non è dato sapere con sufficiente certezza quale sia la Giurisdizione competente, permangono dubbi anche sulle modalità di proposizione del rimborso, soprattutto per la presenza di delicati aspetti inerenti la decadenza dal diritto stesso.
La scelta del Giudice e, di conseguenza, del rito da applicare, infatti, al di là di aspetti meramente formali, trova soprattutto in un particolare una differenza sostanziale: quello del termine per la presentazione del ricorso.
Mentre infatti, innanzi al Giudice Ordinario, l’azione è soggetta ai normali termini di prescrizione (che, nel caso di specie, sarebbero di 10 anni, attesa la illegittimità – da cui l’ingiustificato arricchimento – dell’operato dell’Ente gestore), nel caso si adisse il Giudice Tributario l’azione sarebbe soggetta anche al termine di decadenza di cui all’art. 21 del D. Lgs. n.546/1992, corrispondenti a 60 giorni a partire dal dì della risposta di rigetto dell’Ente, ovvero dopo la formazione del silenzio-rigetto (che si formalizza dopo 90 gg. di silenzio dell’Ente dal dì della richiesta-messa in mora). La norma è infatti inerente il procedimento tributario e non dovrebbe, a rigor di logica e di Legge, interessare il processo innanzi al Giudice Ordinario.
Affrontati i precedenti aspetti preliminari, si può quindi entrare in altri aspetti più inerenti il merito del ricorso.
Un primo punto importante è quello relativo alla legittimazione passiva, ovvero il soggetto da convocare in giudizio.
La questione è opportuno che sia affrontata nel dettaglio, atteso che può aversi dubbio se richiedere il rimborso dell’IVA al soggetto che materialmente la richiede al contribuente (l’Ente gestore del servizio dei rifiuti), ovvero l’Organo del Ministero nel cui interesse viene versata (l’Ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate: cfr. da ultima, sent. Corte Cass. n.17601/2010). Sul punto, sarebbe sufficiente convenire in giudizio anche solo l’Ufficio locale, atteso che è quest’ultimo, secondo il Giudice delle Leggi, “l’unico ufficio legittimato a stare in giudizio”. Nel caso di specie, tuttavia, per i motivi che si evidenzieranno meglio dopo, data la facoltà, da parte dell’Ente gestore, di disapplicare le indicazioni applicative derivanti dalle circolari ministeriali, c’è a mio avviso la possibilità/opportunità di convenire in giudizio anche l’Ente gestore, proprio per questo suo onere/facoltà non correttamente esercitato, oltre che come più diretto ‘contraddittore’ del contribuente.
Ma questione di merito è anche quella collegata alla competenza giurisdizionale del Giudice adito.
A riguardo, potrebbe infatti porsi la seguente alternativa: adire comunque il Giudice Ordinario, giusta la perentoria indicazione normativa del recente D.L. del 2010, per rivendicare in tale sede la natura ‘tributaria’ della Tariffa, ovvero adire – esponendosi certamente ad un’eccezione preliminare di incompetenza, cfr. punto precedente – il Giudice Tributario, proprio in virtù della natura pubblicistica attribuita alla stessa?
Contrariamente a quello che potrebbe sembrare più semplice e, comunque, in ogni caso apparentemente più ‘prudente’, quantomeno per non essere soggetti all’immediata eccezione di incompetenza funzionale del Giudice da parte dei soggetti convenuti, i comuni principii processualistici dovrebbero imporre di adire il Giudice che si ritiene competente in virtù delle istanze promosse innanzi a Questi, e pertanto, nel nostro caso, quello Tributario. Ragionando a contrario, infatti, sarebbe ben illogico ribadire ed eccepire la natura ‘tributaria’ della Tariffa innanzi ad un Giudice (quello Ordinario), che si rivelerebbe manifestamente incompetente se accogliesse il presupposto stesso dell’istanza di rimborso… Sarebbe un paradosso logico e giuridico che, ritengo, porterebbe inevitabilmente al rigetto della domanda per manifesta incompetenza funzionale del Giudice adito.
Proseguendo quindi nell’analisi dei contenuti proponibili nell’istanza di rimborso, al di là di quelli strettamente di merito già affrontati nell’articolo precedente, da un punto di vista procedurale possono sollevarsi le seguenti, ulteriori istanze.
La prima, più semplice, è quella relativa all’efficacia giuridica da dare alla Circolare del Ministero delle Finanze sopra ricordata, che avrebbe, secondo l’Ente emanante, un’ulteriore ‘efficacia interpretativa’ del già citato disposto normativo (art. 14, co.33, D.L. n. 78/2010), quantomeno nei confronti dei contribuenti che si vedono negare le proprie richieste di rimborso proprio in base al richiamo a tale documento.
Contrariamente a quanto gli stessi Enti spesso rappresentino all’esterno nei rapporti con i loro contraddittori, dobbiamo ricordare che, per interpretazione giurisprudenziale pacifica (tra le ultime, cfr. V° sez. Cons. Stato, sentenza n. 7521 del 15 ottobre 2010), “le circolari amministrative sono atti diretti agli organi e uffici periferici ovvero sottordinati, che non hanno di per sé valore normativo o provvedimentale” e che, pertanto, non solo “tali atti di indirizzo interpretativo non sono vincolanti per i soggetti estranei all'amministrazione”, ma, aspetto per noi ulteriormente interessante, “per gli organi destinatari esse sono vincolanti solo se legittime, potendo essere disapplicate qualora siano contra legem (C. Stato, sez. IV, 27-11-2000, n. 6299)” (sent. Cons. Stato, cit.).
In virtù di tale specificazione, pertanto, non solo l’interpretazione che abbiamo definito ‘ulteriormente estensiva’ da parte del Ministero delle Finanze non potrà avere alcun peso nella valutazioni giuridiche di qualsiasi Giudice adito, sia esso Ordinario, ovvero Tributario; ma in più, ci dà l’ulteriore possibilità di poter chiedere, anzi pretendere la disapplicazione di tale interpretazione di fatto gerarchicamente proposta agli Enti gestori, lì dove si possa dimostrare la conflittualità di tale orientamento interpretativo con una norma di Legge.
Ma qual è, nel nostro caso, questa norma?
La risposta a questa domanda aprirà un ultimo, e più complesso argomento di natura procedimentale.
Se appare abbastanza semplice, sul punto, ribadire una sorta di ‘principio generale’ in base al quale, come correttamente specificato anche dalla Corte di Cassazione, la natura di una ‘tariffa’ non può essere determinata dal suo nomen iuris, bensì dalle caratteristiche della stessa (cfr. articolo precedente), tuttavia individuare una ‘norma imperativa di Legge’ da opporre sia alla norma di ‘interpretazione imperativa’ del 2010 che alla Circolare ministeriale, può apparire, nel caso di specie, problematico.
Ma tale difficoltà, la si ritrova solo su norme di livello nazionale.
Se al contrario, invece, rivolgessimo la nostra attenzione verso fonti normative di natura comunitaria, il risultato sarebbe ben differente, atteso che troveremmo la Direttiva n. 77/388/CEE del 17 maggio 1977 (recepita in Italia dai D.P.R. nn. 24 e 94 del 1979), interamente dedicata alla disciplina dell’imposta sul valore aggiunto (I.V.A.), e successive integrazioni e modificazioni, che, all’art.4, n.5, specifica come tutti gli “organismi di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attività o operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni”, salvo che (comma II), in ciò facendo, non si creino “distorsioni di concorrenza di una certa importanza”, palesemente insussistenti nel nostro caso atteso che “il servizio di smaltimento dei rifiuti è svolto dal Comune in regime di privativa” (cfr. Corte Costituzionale, sent. n. 238/2009, ampiamente citata nell’articolo precedente).
La presenza di tale normativa, di livello gerarchico addirittura superiore rispetto a quelle nazionali e, ça va sans dire, pienamente applicabile a livello interno, ha così diverse conseguenze sulle possibili richieste da formulare all’Organo Giudicante (O. G.).
La prima, è rappresentata dalla possibilità di chiedere direttamente all’O.G. la disapplicazione della norma interna (art.14, co.33, D.L. 78/2010) per manifesto contrasto con quella comunitaria, secondo i più comuni ed accettati principi derivanti dalla gerarchia delle fonti.
La seconda, in subordine, è quella di chiedere la sospensione della causa e contemporaneamente la rimessione della questione alla Corte Costituzionale per sollevare la questione di legittimità costituzionale della citata norma del D.L. 2010 in quanto contrastante con un vincolo derivante dall’ordinamento comunitario, giusta applicazione dell’art. 117, co.I, della Carta costituzionale (cfr. Corte Cost., sent. n. 406/2005).
La terza, infine, sempre in caso di rigetto della prima istanza, è quella di richiedere all’O.G. la rimessione (N.B.: comunque facoltativa) della causa innanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per farla esprimere in ordine ad un giudizio di compatibilità tra la normativa comunitaria e quella interna.
E’ opportuno ricordare, sul punto, che tale obiettivo potrà essere ottenuto attraverso lo strumento del c.d. ‘rinvio pregiudiziale’ previsto dall’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (ex art. 234 Trattato istitutivo della C.E.), e del suo uso (indiretto) per la pronuncia di compatibilità tra una norma comunitaria ed il contenuto di una norma di diritto interno.
Avv. Antonio M. Polito