venerdì 2 marzo 2012

La 'pubblicità ingannevole' nel dibattito sull'art.18 dello Statuto dei lavoratori.

Nella società dello spettacolo, la pubblicità rappresenta l’unica forma di verità” (Guy Debord).
E' apparso doveroso ricorrere alla famosa frase del filosofo situazionista francese, per compiere una breve riflessione su ciò che sta caratterizzando il dibattito italiano sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, sul quale non appare esagerato dire che si sta attuando un vero e proprio caso di 'pubblicità ingannevole' a danno dei cittadini/consumatori.
Chi scrive, giova precisarlo, ha una posizione, come si direbbe, ‘aperta’ sulla questione, sulla quale intende però comprenderne i reali termini di discussione.
Un primo elemento di confusione è che, nella maggior parte degli articoli giornalistici ma anche delle interviste a soggetti più ‘qualificati’, si parla dell'art. 18 come dell’articolo sulla ‘giusta causa’ del licenziamento...Verità del tutto parziale, in quanto l'articolo parla di ben 3 modalità di licenziamento, di cui solo una è definita ‘giusta causa’ (quella più grave, che giustifica il licenziamento ‘in tronco’ del lavoratore per gravi azioni commesse dallo stesso), mentre le altre due fanno riferimento a più blandi casi di 'giustificato motivo', di natura soggettiva (per azioni commesse dal lavoratore meno gravi del primo caso) o di natura oggettiva (per motivi economico/organizzativi dell'azienda). Quindi è sempre bene ricordare che, quando si parla indistintamente di ‘art.18’, si parla sempre di tre forme di licenziamento, molto diverse tra loro per gravità e presupposti.
Inoltre, l’art. 18 viene richiamato (da illustrissimi protagonisti del dibattito, come il Prof. Pietro Ichino e la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia) anche nei casi di ‘licenziamento discriminatoro’, per il quale, tutti dichiarano, la tutela del 18 ‘sarà mantenuta’... Peccato però che i casi di licenziamento discriminatorio non hanno affatto bisogno della tutela dell’art.18, atteso che tali licenziamenti sono radicalmente nulli per contrarietà a norme di Legge, la cui illegittimità esula pertanto dai motivi e dai limiti dell’applicazione dell’articolo dello Statuto... Un altro clamoroso caso, quindi, di ‘pubblicità ingannevole’ nell’impostazione del dibattito.
Altra clamorosa ‘bufala’, è quella per la quale la modifica dell'art. 18 “la pretenderebbe l'Unione Europea”. Anche in questo caso, si gioca artatamente sui diversi significati dell’art.18, e non si specifica che l'U.E. ha effettivamente chiesto quali strumenti l’Italia intendesse adottare per modificare i “licenziamenti per motivi economici” (lettera del novembre 2011 del commissario europeo Ollin Rehn, punti 17-21 del questionario allegato)... Anche in questo caso, dunque, è evidente che la questione sia relativa solo ad uno (licenziamento per giustificato motivo oggettivo) dei tre casi previsti dall'articolo: ma allora perché si parla sempre della modifica, quando non dell’abolizione, dell’art. 18 tutto intero, senza fare alcuna distinzione tra le sue diverse accezioni?
Altra forma di ‘pubblicità scorretta’ è poi quella relativa alla vulgata per la quale la tutela reale non esisterebbe in altri paesi dell'Europa... Che esista pacificamente in paesi come la Francia e la Germania, in Slovenia e nella Repubblica Ceca, appare argomento sufficiente per porre nel nulla questa vera e propria falsa notizia, peraltro di per sé non certo dirimente della questione (anche qualora fossimo gli unici ad avere tale tipo di tutela)?
Se poi passassimo alle motivazioni, diciamo così, ‘economiche’ poste alla base di un possibile intervento di modifica, secondo le quali la presenza dell’art.18 osterebbe ad una maggiore offerta di lavoro da parte delle aziende, sono state anch’esse recisamente sconfessate dal sondaggio Unioncamere - Excelsior del dicembre 2011 (consultabile sul sito Unioncamere.it), in cui è emerso come a malapena l’1% dei centomila imprenditori intervistati ha addotto ‘altri motivi’ di mancata crescita, tra cui potrebbe figurare anche l’applicazione dell’art.18. Al contrario, è emerso invece che il tasso maggiore di assunzione avviene sempre nelle aziende con più di 15 dipendenti, e quindi lì dove viene applicata la tutela dell’articolo incriminato...
Così come, ultimo argomento apparentemente ‘tecnico’ ma del tutto inverificabile, è quello secondo il quale, con la modifica dell’art.18, si avrebbe una tutela più ‘equilibrata’ tra i lavoratori c.d. ‘precari’ (‘poco tutelati’) e quelli con contratti ‘stabili’ (‘troppo tutelati’)… Anche in questo caso, oltre ad un’ennesima valutazione non analitica dei molteplici aspetti dell’articolo, si assiste ad un argomento non solo generico e non verificabile, ma ad un vero e proprio indimostrato ‘assunto’ ideologico, oltre che, lo si permetta, ad un odioso ed irresponsabile fomentare di uno scontro tra categorie di lavoratori di cui, in questi tempi, se ne farebbe volentieri a meno…
La ‘pubblicità ingannevole’ viene rigidamente sanzionata come pratica illegittima all’interno di un sistema di mercato, non tanto per motivi relativi alla ‘correttezza’ o meno di un comportamento contrattuale (principio generale valido in ogni rapporto commerciale), ma soprattutto in quanto è in grado di condizionare – su larga scala - la libera determinazione, e quindi la volontà, nelle scelte economiche dei soggetti destinatari di tale pratica.
Se, all’interno di un importante dibattito economico, culturale e politico, le informazioni che vengono diffuse alla cittadinanza hanno la caratteristica di essere imprecise, parziali, lì dove non palesemente false, lo stesso dibattito sarà falsato, fondandosi su elementi non corrispondenti al vero, come di conseguenza falsate saranno la libera determinazione ed il libero convincimento dei cittadini.
Se si ripulisse, dunque, l’importante dibattito sull’art. 18 dello Statuto dei lavoratori di tutte le ‘imprecisioni’, diciamo così, sopra descritte, si è certi che si compirebbe un importante passo in direzione della necessaria trasparenza per una corretta e consapevole formazione dell’opinione pubblica.
Ma forse il punto è proprio questo: siamo sicuri che tutti ne siano interessati?
Avv. Antonello Polito

martedì 7 febbraio 2012

Dal Cresci-Italia... al Cresci-Microimpresa?

Nel recente dibattito giuridico inerente l'evoluzione delle tipologie contrattuali, si parla da un po' di tempo del c.d. 'terzo contratto'.
Tale e' infatti la definizione che, da parte di certa dottrina, viene data ad un contratto stipulato non tra imprenditori o tra privati (primo contratto: quello tra soggetti di eguale 'rango' giuridico), non tra un professionista ed un consumatore (secondo contratto: quello tra soggetti con finalità - e forza - commerciali differenti), bensì tra un grande imprenditore ed una impresa individuale, o familiare.
La dottrina, in questi casi, ha elaborato motivi e strumenti di interpretazione e tutela che a volte alcune coraggiose ma isolate Corti di merito hanno sostenuto (ricordiamo che il Giudice di Pace di Sanremo, nel 1999, sollevo' persino la questione di costituzionalità dell' ex art. 1469-bis del Codice civile proprio in virtù di tale mancata estensione...).
E' dunque da salutare certamente con favore e curiosità l'inserimento previsto all'art.7 del Dl 1/2012 di due modifiche al Codice del consumo che estendono le tutele previste per il consumatore anche alle microimprese.
L'art.18 del Codice del consumo, infatti, dedicato alle 'definizioni', viene arricchito, al primo comma, di una lettera 'd-bis' che definisce proprio le microimprese, identificate come quelle "entità, società di persone o associazioni, che, a prescindere dalla forma giuridica esercitano un'attivita economica artigianale e altre attività a titolo individuale o familiare".
Di conseguenza, viene integrata anche la disciplina prevista dall'articolo successivo, il 19, nel quale viene esteso l'"ambito di applicazione" del titolo III della parte seconda del Codice anche "alle pratiche commerciali scorrette tra professionisti e microimprese".
Viene tuttavia specificato che, per le microimprese, "la tutela in materia di pubblicità ingannevole e di pubblicità comparativa illecita, e' assicurata in via esclusiva dal decreto legislativo 2 agosto 2007, n. 145".
Posto che dovremo verificare la persistenza di tale importante integrazione al Codice del consumo all'esito della conversione in legge del decreto, sperando nel suo mantenimento, tale integrazione sembra essere destinata a rivoluzionare non poco il contenzioso del consumo, soprattutto nei contratti di servizio.
Si immagini solamente, a mo' di esempio, alla sua applicazione nei rapporti commerciali di prestazione di servizi (telefonici, di energia) tra le grandi imprese ed i singoli professionisti.
Una piccola, grande rivoluzione che dunque svilupperà e renderà ancora più utilizzabili gli strumenti di tutela posti originariamente ad esclusiva difesa dei soggetti più deboli, che oggi tendono ad estendere la loro influenza giuridica ed economica.   

martedì 10 gennaio 2012

Le indicazioni dell'Autorità Antitrust a tutela dei consumatori: richiesta di multe fino a 5 milioni di euro!

Riprendiamo qui di sèguito la parte delle 'proposte di riforma' inerenti la tutela diretta dei consumatori, presentate al governo dall'Autorità posta a tutela della Concorrenza il 5 gennaio scorso, di cui ne sottolineiamo gli aspetti più importanti:

TUTELA DEL CONSUMATORE E PUBBLICITÀ INGANNEVOLE
La disciplina in materia di pratiche commerciali scorrette e di pubblicità ingannevole e comparativa illecita costituisce lo strumento attraverso il quale l’Autorità persegue i comportamenti delle imprese idonei a falsare le scelte economiche dei consumatori, ovvero la diffusione di comunicazioni commerciali e pubblicitarie ingannevoli, suscettibili di ledere imprese concorrenti. In entrambi i casi, inoltre, tali comportamenti possono alterare in misura apprezzabile il corretto svolgimento della concorrenza nei mercati interessati. Soprattutto in relazione agli illeciti di maggiore gravità e durata, l’esperienza applicativa ha dimostrato l’inadeguatezza, in termini di deterrenza e proporzionalità delle sanzioni, dei limiti edittali massimi di 500.000,00 euro e 150.000,00 euro, attualmente previsti, rispettivamente, in caso di violazione dei divieti normativi in materia di pratiche commerciali scorrette e pubblicità ingannevole e comparativa illecita e in caso di inottemperanza ai provvedimenti inibitori dell’Autorità.  Si propone pertanto di aumentare a 5.000.000,00 (cinquemilioni) euro il limite edittale massimo delle sanzioni previste dall’art. 27, commi 9 e 12, del D.Lgs. n. 206/2005 (Codice del Consumo) e dall’art. 8, commi 9 e 12, del D.Lgs. n. 145/2007 (pubblicità ingannevole).

Inoltre, al fine di rafforzare, nell’attuale fase di crisi economica, gli strumenti di tutela a favore delle imprese di minori dimensioni – che rappresentano il tratto caratterizzante della struttura produttiva del Paese – le tutele previste dal Codice del Consumo a favore dei soli consumatori persone fisiche, potrebbero essere estese anche alle microimprese (imprese con meno di 10 dipendenti e un fatturato annuo inferiore ai 2 milioni di euro). Ciò implicherebbe, in particolare, la possibilità per l’Autorità di intervenire anche nei confronti di condotte ingannevoli e/o aggressive poste in essere a danno di microimprese, a prescindere dall’esistenza di un qualunque messaggio pubblicitario. La pubblicità ingannevole suscettibile di incidere pregiudizievolmente solo sugli interessi delle microimprese continuerebbe ad essere disciplinata in via esclusiva dalle disposizioni del D.Lgs. n. 145/2007.  Si propone pertanto di: (a) modificare l’art. 18 del Codice del Consumo (D.Lgs. n. 206/2005) introducendo la nozione di microimprese, come definita nella Raccomandazione della Commissione Europea 2003/361/CE del 6 maggio 2003; (b) modificare l’art. 19 del Codice del Consumo, al fine di estendere l’ambito di applicazione delle relative disposizioni alle pratiche commerciali scorrette tra professionisti e microimprese, nonché di precisare che la tutela delle microimprese nei confronti della pubblicità ingannevole e della pubblicità comparativa illecita è assicurata in via esclusiva dal D.Lgs. n. 145/2007.