venerdì 30 settembre 2011

"Luce e gas, boom di contratti falsi"

Riprendiamo dal Sole 24 Ore di un paio di giorni fa.
Un 'caso' è capitato anche tra i consumatori rivoltisi alla nostra Associazione, per il quale è in corso un giudizio innanzi al Giudice di Pace di Torino e la società convenuta, 'guarda caso', non ha neanche prodotto il contratto...
Comunicheremo gli aggiornamenti.

"Come accadeva appena aperta la liberalizzazione dei telefoni. Ora succede nell'elettricità e nel gas: i contratti non richiesti. Lo sportello per la tutela dei consumatori energetici organizzato dall'autorità dell'Energia, dato in gestione all'Acquirente unico (la Spa pubblica che rifornisce indirettamente di energia i consumatori domestici), ha censito in un anno, fino al 30 giugno, 3.500 casi di clienti energetici ai quali era stato cambiato a loro insaputa il contratto di luce e gas. Un fenomeno in crescita del 68 per cento.
In realtà, i casi sono molti di più di quelli censiti, ma sono risolti dalle aziende elettriche prima che il consumatore si rivolga all'Acquirente unico.
Campania, Lazio, Puglia e Toscana le regioni più tartassate dai manipolatori del contratto. Ma anche Lombardia oppure – Regione che emerge in questi mesi – Marche. Accade a Brescia, per esempio, oppure a Benevento, dove la procura sta indagando per falso in scrittura privata.
Commenta Paolo Vigevano, amministratore delegato dell'Acquirente unico: «Sono le fisiologie perverse dei processi di liberalizzazione. Per fortuna, dopo l'esperienza dei telefoni, l'energia è il settore che ha più strumenti per la tutela del consumatore».
L'Autorità dell'energia sta conducendo audizioni tra le aziende elettriche e del gas per decidere nuove misure in difesa dei cittadini beffati. Per il presidente dell'Authority, Guido Bortoni, sono fatti odiosi che vanno repressi: la tolleranza «non può che minare la reputazione dell'operatore e danneggiarlo nel punto in cui vi è più valore per il medesimo: la fiducia del cliente».
Per esempio un consumatore scopre di essere passato dal mercato tutelato al mercato libero. Oppure, sulla bolletta cambia il nome della società fornitrice. In qualche caso il contratto riporta una firma falsa. Ed è successo che la firma fosse di una persona che alla data contrattuale era morta schiattata. Il cliente, imbufalito, rivuole il suo contratto precedente, com'è suo diritto; i consumatori possono passare in tutta libertà dal segmento del mercato libero al settore tutelato.
Ma giungono segnalazioni che alcune aziende di luce e gas inventino scuse per non tornare indietro: non è possibile, ormai ha firmato, non c'è niente da fare. Accade che il consumatore esasperato riesca a compilare le pratiche per tornare al contratto precedente, e qui l'azienda energetica può diventare cavillosa tanto quanto prima, quando si trattava di accettare clienti, era superficiale: manca una virgola, il documento è incompleto, non è stata mandata la certificazione.
Nell'84% dei casi il fenomeno riguarda le famiglie. E gli autori dei misfatti sono alcuni agenti commerciali. Le aziende energetiche non gestiscono in proprio la rete di vendita e i centralini di procacciatori e si affidano su appalto a rappresentanti e società di rivenditori.
Nella maggior parte dei casi sono venditori bravissimi e onestissimi. Nella maggior parte dei casi. Ma a volte – come accadeva con i contratti telefonici, e spesso si tratta degli stessi rappresentanti di allora – ci sono agenti di vendita che compilano i contratti leggendo sui nomi del campanello di casa. Due casi su tre riguardano la corrente elettrica, poiché il mercato del metano è meno vivace. Gran parte dei contratti farlocchi è all'interno dello stesso gruppo energetico: da una società all'altra, cioè passando dalle tariffe e dalle garanzie fissate dall'Autorità dell'energia ai prezzi e ai contratti del mercato libero.
Il fenomeno riguarda tutte le società energetiche. Molte corrono ai ripari. L'Enel – vittima del fenomeno quanto i suoi clienti – per esempio ha dovuto istituire la telefonata di controllo: prima di avviare il contratto si accerta, con una chiamata a casa del cliente, se il contratto è reale. Poi ha distribuito tra i rivenditori un'uniforme. A volte l'Enel è dovuta intervenire con severità. A Brescia ha sospeso «le attività delle due agenzie», riferisce il Giornale di Brescia".
di Jacopo Giliberto
(c) Sole 24 Ore

lunedì 26 settembre 2011

La Corte d'Appello di Torino ritiene ammissibile Class Action di Altroconsumo contro Intesa San Paolo


Riprendiamo dal sito di Altroconsumo e, volentieri, pubblicizziamo...
Class action Intesa San Paolo: via libera dal giudice
La Corte d'appello di Torino ha dichiarato ammissibile l'azione collettiva risarcitoria presentata da Altroconsumo contro Intesa Sanpaolo s.p.a. per le commissioni di scoperto di conto applicate ai correntisti in rosso dopo il 15 agosto 2009 (una class action è possibile in Italia solo per eventi successivi a questa data). Spese che Altroconsumo ritiene illegittime e quindi da restituire.
Spese non dovute
Quello che chiediamo è il risarcimento dei costi illeciti fatti pagare ai correntisti di Intesa Sanpaolo: si tratta di spese, come la "Commissione per scoperto di conto (Csc)", fatte pagare dalla banca sui conti non affidati, vale a dire i conti ai quali, al momento dell'apertura, non è concesso un fido. Spese che sono state introdotta dalla banca in sostituzione delle commissioni di massimo scoperto abolite per legge nel 2009.
La Corte d’appello di Torino ha ritenuto che Altroconsumo rappresenti adeguatamente gli interessi dei correntisti e che la class action non possa essere bloccata sul nascere, come richiesto da Intesa Sanpaolo.
"E' un risultato senza precedenti per i correntisti bancari coinvolti e per i consumatori più in generale, in un momento di grave sofferenza finanziaria del Paese e dell'intera area euro, e di discussione sulla credibilità del settore bancario", ha dicharato Paolo Martinello, presidente di Altroconsumo. "La trasparenza e il rispetto delle regole sono criteri da applicare irrinunciabilmente alla priopria clientela e utenza. In mancanza, i diritti dei correntisti devono poter essere tutelati attraverso il nuovo strumento della class action, che per la prima volta in Italia viene ammesso nei confronti di un importante istituto bancario, per una vicenda che coinvolge migliaia di consumatori” - ha concluso Martinello.
Continuano le adesioni
Ora la palla torna al tribunale di Torino che dovrà decidere tempi e modalità di pubblicità dell’azione e di raccolta delle adesioni.
Nel frattempo, tutti i consumatori interessati, ovvero i correntisti di Intesa Sanpaolo che pur non avendo un fido sono andati in rosso e hanno subìto dopo il 15 agosto 2009 l'applicazione di voci di spesa come la "Commissione per scoperto di conto (CSC)", possono compilare il form di pre-adesione alla class action.
Le altre class action
Otteniamo così il via libera alla prima delle tre class action in corso per ristabilire i diritti negati ai consumatori. Si attende ancora l'esito per le altre due richieste d'azione collettiva: quella sull'ipotesi di cartello nelle tariffe dei traghetti in viaggio per la Sardegna e quella sull'interruzione di servizio pubblico da parte della Rai nei confronti dei telespettatori paganti il canone di abbonamento.

martedì 13 settembre 2011

Antitrust contro Apple sulla garanzia di un anno


Da 'Repubblica' di ieri, una notizia che è scomparsa troppo velocemente dalle prime pagine dei siti di informazione...

Apple: "Garanzia 1 anno" - consumatori all'attacco

Per legge devono essere due. Indaga l'Antitrust. Prima denuncia in Trentino. L'azienda: dopo 12 mesi la responsabilità è dei venditoridi JAIME D'ALESSANDRO


ROMA - Il Trentino contro la Apple. Strano a dirsi, ma parte proprio dal nord Italia l'ultima sfida alla multinazionale fondata da Steve Jobs. Al centro della disputa, sulla quale sta indagando l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, meglio nota come Antitrust, la durata della garanzia su iPhone, iPad e gli altri dispositivi prodotti dalla mela. La vicenda è cominciata un anno fa circa, quando il Centro ricerca tutela consumatori utenti (Crtcu) di Trento, denunciò il colosso di Cupertino per prassi commerciale sleale.

"Diverse persone continuano a segnalarci che i distributori di prodotti Apple non rispettano la legge europea e italiana sulle garanzie riconoscendo solo un anno di copertura", fanno sapere dal Crtcu di Trento. "Tutto ciò è in palese violazione degli articoli 132 e 133 del Codice del consumo che prevedono una durata legale di due anni". Di qui l'intervento dell'Antitrust, che in un comunicato stampa piuttosto sintetico afferma di aver avviato una procedura nei confronti dell'azienda americana e alla catena di negozi Comet.

"La garanzia è di due anni e su questo non possono esserci incertezze", dichiara una fonte interna dell'Autorità. Peccato che i termini internazionali della garanzia stabiliti dalla Apple vadano in tutt'altra direzione. Si parla di un anno di copertura, punto e basta. Non solo: l'azienda, a sua discrezione, può riparare il prodotto, sostituirlo, rimborsarlo. Finiti i dodici mesi però il problema non è più suo. Che poi è la tesi dei rivenditori Trentini: "Apple non viola le norme. Queste, infatti, prevedono che nel primo anno dopo l'acquisto le riparazioni spettino al produttore, mentre dal secondo anno, per danni di conformità, al rivenditore". Solo che certi negozianti, rivenditori esclusivi Apple in primis, si rifiutano di sostituire smartphone o tablet che siano, se sono passati più di dodici mesi.
Dall'Antitrust, in attesa del verdetto finale, sottolineano le direttive chiare della legge. "Non ha importanza se il rivenditore coincide con il produttore o meno (dunque se si è comprato l'iPhone in un Apple Store o da un distributore, ndr). Una volta che l'utente acquista il dispositivo in Italia, quel dispositivo deve essere garantito per due anni. Sarà poi un problema del rivenditore, se diverso dal produttore, stabilire un accordo con quest'ultimo. Ma non è certo una questione che può ricadere sulle spalle del consumatore".

C'è chi ha sostenuto che in realtà la legge non è poi così chiara come sembra. Eppure, a leggerla bene, di ambiguità non sembrano essercene. Anzi, l'articolo 134 dichiara nulla ogni clausola contrattuale che, prevedendo norme di una legislazione di un Paese extracomunitario, abbia l'effetto di privare il consumatore della protezione assicurata. E questo significa in soldoni che Apple, o chi per lei, può imporre le norme che preferisce altrove, ma se vende in Italia o un altro Paese membro dell'Unione Europea deve rispettare l'estensione di due anni della garanzia.

In attesa che l'indagine si concluda - l'Autorità garante della concorrenza parla di circa due mesi - e che si capisca se Cupertino e i distributori presi in esame dovranno pagare o meno la multa compresa fra i cinquemila e i cinquecentomila euro, la Apple Italia per ora non commenta. Probabile però che sarà costretta a farlo quando l'Antitrust renderà noto il suo parere e l'eventuale sanzione. Perché potrebbe esser costretta ad adottare una politica diversa in Europa da quella che ha deciso di seguire in tutto il resto del mondo.