giovedì 3 febbraio 2011

I rischi di un consumatore 'felice'...

Segnaliamo questa interessante intervista a Zygmunt Bauman, sociologo, professore all'università di Leeds (Inghilterra), riportata sul sito dell'ADUC, per darle la rilevanza che merita.


Il giornalista Hans von der Hagen della Sueddeutsche Zeitung (SZ) ha intervistato il sociologo Zygmunt Bauman (ZB) in un colloquio apparso sul quotidiano di Monaco il 28/01/2011.
Zygmund Bauman: La Preoccupazione per la nostra Identità ha un ruolo importante -sia quando vogliamo preservarla dal declino, sia quando desideriamo acquisirne una nuova, più attraente. I segni tangibili del nostro status li dà il mercato. 

SZ: Signor Bauman, nella nostra società non si fa che comprare -molto più di quanto ci serva. Dev'essere per forza così?
ZB: Quella è un'imboscata delle aziende. Prima suscitano l'interesse del consumatore, poi dilatano via via quell'interesse. Da tempo non si tratta più di bisogni concreti. Ci sono prodotti che vengono svalutati e sostituiti con le varianti "nuove e migliorate". Dopo una stagione il prodotto originario non solo è obsoleto, ma persino penoso. Se funziona, continuare a comprare diventa una necessità. Prima che Lei entri in un negozio è già stato stabilito come deciderà. E' una questione di tentazione e di brama. Il trucco è far nascere un desiderio che ne risvegli sempre di nuovi. 
SZ: Ci fa un esempio?
ZB: L'industria cosmetica adotta questa strategia. Prenda Allergan, l'azienda che ha regalato il Botox alle donne con la paura delle rughe. E' riuscita a trasformare in problema anche le ciglia sottili: in modo elegante ha preparato il rimedio: la lozione Latisse, che fa spuntare le ciglia dove non c'erano e allunga quelle esistenti. Ma a una condizione: Latisse dev'essere usata regolarmente, tutti i giorni fino all'eternità. 
SZ: Perché?
ZB: Se no le ciglia perdono vigore e tutto torna praticamente come prima. Tranne che nella testa: se Lei ha saputo che si può rimediare alle ciglia sciupate ma non fa nulla, si vergognerà delle ciglia corte. Avrà la sensazione di trascurarsi e quindi di perdere dignità e la stima altrui. 
SZ: E' il consumatore che si fa schiavo?
ZB: Di fatto, il diritto di scelta dell'acquirente diventa un obbligo dal quale è difficile liberarsi. L'inghippo: ritirarsi vorrebbe dire aver sprecato i soldi spesi nel prodotto, negli aggiornamenti e nelle applicazioni aggiuntive; ma non è solo una questione di soldi: all'inizio si ha un'idea vaga di ciò che possa dare un dato prodotto; dopo, la nostra vita non è più pensabile senza quell'aggeggio.
SZ: E' dunque un gioco di paura del cliente verso se stesso?
ZB: La preoccupazione per la nostra identità liquida (termine coniato da Bauman, ndr) -e dunque del posto che pensiamo d'occupare nella società- ha un grande ruolo. L'identità richiede continua attenzione, revisione, adattamento- o perché la si vuole preservare dall'erosione o perché si vuole acquisirne una nuova, più attraente. I segni visibili della nostra posizione li riceviamo dal mercato. Non per nulla la pubblicità sussurra: "Lo devi a te stesso".
SZ: Consumiamo e poi ci sentiamo meglio?
ZB: Da un lato, consumare è divenuta la via maestra per mostrare le differenze sociali e acquisire sicurezza in se stessi. Nel contempo è un rimedio contro la cattiva coscienza. Se le persone non hanno tempo per la famiglia perché ne devono garantire il sostentamento, cercano una compensazione. E il mercato è in grado di offrire sostituti materiali alla cura, all'amicizia, all'amore. L'atto del pagare supplisce a una presenza che il senso di responsabilità imporrebbe. Le aziende sfruttano questo fatto suggerendo: chi a Natale o per un compleanno non partecipa alla caccia ai regali tradisce chi ama. Solo gli indifferenti e i coraggiosi si sottraggono a questo ricatto. 

"Giudizio inappellabile"
SZ: La fissazione di dover consumare quanto cambia la società?
ZB: Un consumatore ben addestrato -lo siamo tendenzialmente tutti e in età sempre più precoce- tende a vedere il mondo come un contenitore di prodotti da consumare. Il modello del rapporto cliente-prodotto è visto come l'archetipo di ogni rapporto, anche tra le persone. A due condizioni. La prima: un prodotto di consumo deve soddisfare. La seconda: non c'è alcun motivo per restare fedeli a un prodotto se non corrisponde più allo scopo e se esistono alternative valide. Poiché tutti o quasi i membri della nostra società dei consumi accettano questo modello, non dobbiamo stupirci se anche noi veniamo valutati dagli altri su queste basi. 
SD: Il consumatore che diventa il consumato?
ZB: Anche noi vogliamo essere richiesti e desiderati. Quindi dobbiamo mostrarci sempre in forma. L'uomo diventa merce: compriamo tanti prodotti per piacere agli altri. Il consumismo è la quota associativa per appartenere alla società, e la lotta per farne parte è un compito che non finisce mai. E' divenuto addirittura un dovere civico. Ce lo ricordiamo tutti: dopo lo choc dell'attacco terroristico alle Torri gemelle, George W.Bush si rivolse ai suoi concittadini per indurli innanzitutto: "Americani, andate a comprare!" 
SZ Cosa accade a chi vuole sottrarsi all'obbligo di consumare?
ZB: Il mercato è un giudice implacabile, che emette sentenze sull'essere Dentro e Fuori senza possibilità d'appello. I consumatori riottosi e anche i commercianti deboli vengono espulsi. Nella società liquida dei consumatori la cerchia sostituisce sempre più i gruppi composti in modo gerarchico. La cerchia non è un vero gruppo, esiste solo attraverso una solidarietà meccanica. Quelli che vi partecipano si sentono sicuri. Non ci sono ribelli, solo gente smarrita. Ma sono strutture fragili che possono dissolversi in qualsiasi momento. Il consumo non consente legami, è un fatto solitario -anche quando lo si esercita con altri. 
SZ: Eppure la maggioranza sembra soddisfatta. La società dei consumi nel suo insieme non è forse un modello vincente? 
ZB: Ha un vantaggio notevole: promette la felicità immediata su questa Terra. Quale altra forma sociale può fare altrettanto? Lo svantaggio: la società dei consumi non solo promette la felicità, ma la impone addirittura. L'infelicità non è tollerabile, gli scontenti perdono il posto nella società. Ma l'assurdo è questo: la minaccia peggiore per una società che mette al primo posto la felicità è costituita da un cliente felice pur essendo senza voglie. Uno che non va a fare acquisti.

(Traduzione di Rosa a Marca)

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