mercoledì 26 gennaio 2011

E' tutto facile, se non ci sono problemi...

Una breve analisi delle condizioni di acquisto sul negozio online iTunes Store.

Parte prima: considerazioni preliminari.


La straordinaria velocità con la quale prodotti come l’iPod, l’iPhone ed, infine, l’iPad, tutti della società americana Apple, si sono diffusi anche tra un pubblico di utenti solitamente ‘profano’ di oggettistica e servizi tecnologicamente avanzati, distoglie spesso l’attenzione dalle reali condizioni di natura giuridica (determinate unilateralmente ed irrevocabilmente dal soggetto ‘professionista’) alle quali l’utente-consumatore si impegna.
Come spesso avviene, però, finché tutto, diciamo così, ‘fila liscio’, si tende a disinteressarsi di tali problematiche, ma quando invece emergono disservizi e/o delusioni o comunque aspetti non previsti dalla buona fede del consumatore, in genere o si rinuncia a priori a contestare alcunché (‘vabbè, starò più attento la prossima volta’, quando la perdita è limitata a pochi euro), ovvero, nel migliore dei casi, non si sa cosa fare… Scrivere una mail? Ma a chi? E in quale lingua? O andare da un avvocato? Ma quanto mi costerebbe? O andare da un’Associazione? Si, ma quale? E ce n’è una nella mia città? Ma per fare cosa, poi...?
In questa breve analisi, si affronteranno dunque alcuni degli elementi essenziali delle condizioni generali di vendita e di utilizzo dei prodotti Apple e sul negozio iTunes, e specificamente quelli che possono regolare le modalità di contestazione e/o azioni nei confronti della casa madre, per come emergono nei 'termini e condizioni' vigenti dell'iTunes Store (rinvenibili su www.apple.com/legal/itunes/it/terms.html).
Primo elemento da considerare: i 'gioielli' elettronici sopra riportati (iPod, iPhone ed iPad) non possono essere utilizzati senza il software 'iTunes', che si scarica gratuitamente dal sito della Apple. Tuttavia, per rendere operativo il software iTunes (e quindi i prodotti acquistati), è necessario aprire un 'account' fornendo i propri dati, tra i quali vi è quello (necessario, per fare acquisti) del numero della vostra carta di credito.
Dunque, per utilizzare qualsiasi 'aggeggio' della Apple, dovrete avere anche necessariamente un c.d. 'Apple ID' (attraverso il quale la casa americana svolge proprie analisi di mercato, monitorando i vostri acquisti e le vostre preferenze video e musicali, soprattutto con i recenti sotto-programmi di iTunes, 'Ping' e 'Genius', che sono tuttavia disattivabili) nonché, in caso vogliate fare acquisti, una carta di credito in corso di validità, sulla quale verranno addebitati automaticamente ed istantaneamente i vostri acquisti in-1-solo-click.
Già questi elementi possono porre qualche problema, di cui ne suggeriamo qualcuno:
1)      Se non accetto le condizioni di iTunes, che faccio, posso restituire il mio acquisto e riavere i miei soldi (diritto di recesso iniziale)?
2)      Se ad un certo momento, dopo aver accettato in un primo momento le condizioni di acquisto di iTunes, queste cambiano (come fanno spesso), in termini che non intendo più accettare, che ne é del mio acquisto (diritto di recesso medio tempore)?
3)      Se non voglio più acquistare applicazioni attraverso il servizio iTunes, ho alternative?
Al di là delle risposte a questi quesiti (apparentemente negative, eccetto forse l’ultima), è in ogni caso già singolare che tali problematiche non vengano in alcun modo affrontate nei 'termini e condizioni' del software iTunes, e che non vengano espressamente comunicate, e tantomeno sottoscritte, prima dell'acquisto dei 'gioiellini' elettronici della Apple, la quale costringe di fatto i propri utenti ad accettare le proprie condizioni, ovvero a dover recedere solo dopo l'acquisto dei propri dispositivi, e si immagina soltanto con quali difficoltà!
Ricorda forse qualcosa, questa forzata inserzione di un software per l’utilizzo di un prodotto tecnologico? Un suggerimento: forse la Cyber-War dell’U.E. contro Microsoft?
Ma tali osservazioni appaiono ancora più pregnanti, lì dove si consideri che, sempre secondo i 'termini' di iTunes Store, il servizio “è riservato agli individui di età pari o superiore ai 13 anni”. Ma come, si direbbe, quale ragazzino di 13 anni possiede una carta di credito (si ricorda: necessaria per l'attivazione del servizio)? Ma, specifica iTunes, “se Lei è di età pari o superiore ai 13 anni ma inferiore ai 18, dovrebbe rivedere queste condizioni con l'assistenza di un genitore o un tutore per essere sicuri che sia Lei sia il Suo genitore o tutore abbiate compreso le presenti condizioni”.
Ma anche dopo tale specificazione del contratto dell’iTunes Store, i problemi principali rimangono privi di risposta, ovvero:
a) le condizioni contrattuali di iTunes possono, per espressa previsione della società americana, essere accettate da un ragazzino di 13 anni o più, e non anche / oppure dal di lui genitore / tutore, il quale dovrebbe essere solo 'invitato' dal minore a prenderne visione;
b) iTunes non effettua alcun controllo sulla circostanza che i genitori o i tutori del minore vengano effettivamente informati di tale loro onere (e si è così certi che un minore di 13 anni o poco più, senta come impellente tale pregnante precetto morale, lì dove ne venga a conoscenza?);
c) questo stesso minore potrebbe, anzi dovrebbe, inserire i dati di una carta di credito certamente non sua, senza che iTunes controlli che vi sia il preventivo consenso del relativo titolare (genitore, o parente, o chissà).
Dato che, per espressa previsione contrattuale, “il presente Contratto e l'utilizzo del Servizio sono regolati dalla legge italiana” (pag. 7 termini e condizioni iTunes Store), si è certi che, lì dove si avrà la necessità e la volontà di andare 'a fondo' su tali tematiche, la società ‘iTunes Sarl’ potrebbe trovarsi in serie difficoltà nel difendere le proprie, originali 'condizioni' in rapporto alla nostra comune disciplina codicistica e consumeristica...
Altro elemento fondamentale: iTunes non è Apple. Si ricorda infatti che, a seconda della contestazione che si vorrà effettuare, bisognerà capire nei confronti di chi rivolgersi. ITunes è società diversa dalla Apple, con autonomo numero di registrazione (RCS Luxembourg B 101120) ed autonoma sede legale (8, rue Heinrich Heine, L-1720 Lussemburgo) dalla casa madre americana (in Italia: Apple Retail Italia S.r.l., iscritta al registro imprese con numero 0493 5230 963, con sede in Milano, Via Monte Napoleone n.2, da http://www.apple.com/legal/sales_policies/retail_it.html).
Pertanto, ci si rivolgerà ad Apple Italia non solo in caso di difetto o malfunzionamento del prodotto fisico acquistato (computer, iPhone, ecc.), ma anche nel caso, subito dopo l'acquisto, non si intendano o non si possano accettare le condizioni di utilizzo del software iTunes (e di iTunes Store), circostanza che rende di fatto inutilizzabile l'acquisto. Di tale aspetto, oltretutto, potrebbe essere anche reso co-responsabile il venditore al dettaglio (c.d. ‘responsabilità del venditore’, ex art. 130 Codice del consumo), ma questo aspetto, nel caso di specie, essendo suscettibile di ulteriore approfondimento, non interessa direttamente le finalità del presente scritto, incentrato sulle responsabilità attribuibili ad Apple-iTunes.
Al contrario, per tutti i singoli acquisti successivi all'attivazione del prodotto e dell'account 'Apple ID', effettuati on-line attraverso il software iTunes (files musicali, Apps, video...), ci si dovrà rivolgere alla Società iTunes Sarl, con sede a Lussemburgo.
In ogni caso, il Giudice e/o l'autorità amministrativa (di conciliazione, per esempio) competente, sarà quella relativa al domicilio o alla residenza del consumatore, anche se l'acquisto venga effettuato on-line, in virtù degli artt. 33 - 63 D.Lgs. 206/2005 (Codice del Consumo).
                                                      [fine prima parte - continua]
                                                                 
                                                                 Avv. Antonio M. Polito

martedì 25 gennaio 2011

Affari... ma per chi? Le osservazioni dell'Antitrust sui saldi di gennaio.

Roma, 5 gennaio 2011 
  
Presidente del Senato della Repubblica Presidente della Camera dei Deputati Presidente del Consiglio dei Ministri Ministro dello Sviluppo Economico.

    L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nell’esercizio del potere di cui all’articolo 21 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, intende formulare alcune osservazioni in merito all’art. 3, comma 1, lettera f), della legge n. 248/2006, laddove esso prevede, per quanto riguarda la distribuzione commerciale, l’eliminazione di qualsiasi autorizzazione preventiva e qualsiasi limitazione “di ordine temporale o quantitativo allo svolgimento di vendite promozionali di prodotti, effettuate all’interno degli esercizi commerciali, tranne che nei periodi immediatamente precedenti i saldi di fine stagione per i medesimi prodotti”. 
L’Autorità, pur rilevando come, nel complesso, il processo di liberalizzazione e semplificazione amministrativa avviato dalla legge n. 248/06 in conformità al principio comunitario di libera concorrenza e di libera circolazione delle persone e dei servizi, abbia di fatto garantito agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti ed un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all’acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale, osserva che la sopra citata prescrizione appare ancora penalizzante sia per gli operatori del settore che per i consumatoriLo scopo di tale disposizione pare essere quello di salvaguardare i saldi di fine stagione che, rispetto alle semplici vendite promozionali, riguardano prodotti aventi le caratteristiche della stagionalità e/o della rispondenza ai dettami della moda del momento e sono finalizzati ad evitare una perdita di valore commerciale degli stessi, consentendo al commerciante di esaurire i prodotti destinati a diventare meno commerciabili nell’anno successivo. La restrizione pare però inidonea a raggiungere lo scopo che essa si prefigge, poiché l’unico effetto che essa consegue è quello di restringere la libertà degli operatori economici di definire la propria strategia commerciale: infatti, coloro che desiderino attuare sia una vendita promozionale che un saldo si trovano costretti, per effetto della citata disposizione, a selezionare i capi destinati alla vendita promozionale, tenendoli distinti da quelli (necessariamente diversi, come disposto dall’art. 3, comma 1, lettera f)) destinati alla vendita in saldo, realizzabile solo nei periodi stabiliti dalla normativa regionale. Se, dal punto di vista degli operatori commerciali, la disposizione in esame comprime sproporzionatamente la libertà di iniziativa economica, per quanto riguarda i consumatori essa può dar luogo a dannosi fenomeni di elusione, ed in particolare a strategie di promozione che, nel tentativo di apparire diverse e distinte rispetto alle vendite promozionali (per non ricadere nell’ambito del divieto ex art. 3, comma 1, lettera f), della legge n. 248/06), possono creare ingiustificate disparità di trattamento tra i consumatori stessi.  Ciò può accadere nel caso in cui alcuni operatori commerciali, anche d’intesa con associazioni, adottino iniziative volte a consentire la vendita di prodotti a prezzi scontati presso i negozi convenzionati con tali associazioni esclusivamente a favore degli iscritti, asseritamene al fine di favorire la clientela “fidelizzata”, più che di promuovere l’acquisto di determinati prodotti. Per i tempi e le modalità con cui tali iniziative vengono realizzate, è evidente che l’intento è meramente quello di eludere il divieto di effettuare vendite promozionali di prodotti nei periodi immediatamente precedenti i saldi di fine stagione; più in generale, possono rappresentare una forma di elusione della norma le iniziative di ‘prevendita’ della merce in saldo riservata dai negozianti a gruppi prescelti di clienti. Di fatto, le conseguenza negative di tali scelte commerciali vengono sopportate dai consumatori non iscritti alle associazioni convenzionate o comunque non destinatari delle offerte di “prevendita”, che non sono in grado di usufruire della stessa scelta e delle stesse vantaggiose condizioni economiche offerte agli iscritti.  L’Autorità auspica, pertanto, una modifica in senso pro-concorrenziale della disposizione in esame, sì da eliminare le restrizioni che essa genera a carico degli operatori commerciali e, contestualmente, i sopra descritti fenomeni distorsivi della libertà di scelta dei consumatori.  

 IL PRESIDENTE Antonio Catricalà

giovedì 20 gennaio 2011

Che fine ha fatto l''allarme diossina'?

Nonostante l'‘allarme diossina’, sorto in Germania in seguito alla scoperta della contaminazione di ingenti quantità di uova e carni avicole, il Governo italiano ha deciso di non disporre il blocco delle importazioni degli alimenti a rischio dal Paese. La scelta è stata motivata "in ragione della tracciabilità degli alimenti come le uova a maggior rischio di contaminazione", e con la decisione di sottoporre gli altri cibi a rigidi controlli a campione.
Gli onorevoli […] e […] chiedono al Ministro della Salute di "fornire una risposta chiara in merito ai reali rischi, anche immediati, per la salute dei consumatori in caso di ingestione di cibi contaminati da diossina", anche in considerazione del fatto che, al momento, sugli alimenti tedeschi si attende ancora un dato definitivo.
RISPOSTA - Il Ministro della Salute Ferruccio Fazio spiega che i valori massimi di diossina stabiliti dalla normativa comunitaria sono "molto conservativi e, di fatto, il parametro di sicurezza è inteso cento volte inferiore al limite che può indurre in realtà tossicità nell'uomo".

Riflessione: ma allora, che senso ha porre dei limiti di legge, se poi questi si ritengono ‘molto conservativi’ e superati da valutazioni ‘di fatto’, che variano, in quanto tali, da interprete a interprete?
A nostro parere, è giusto che i consumatori italiani conoscano i termini della questione.
Riportiamo quindi, di sèguito, tutta l’interrogazione (n.3-01389) di qualche giorno fa, che abbiamo resa anonima per non dare senso politico alla segnalazione:

Il 27 dicembre scorso il Ministero dell'agricoltura tedesco dello Schleswig-Holstein veniva a conoscenza che una società aveva utilizzato oli industriali, idonei alla produzione di biodiesel, nella linea produttiva di mangimi per animali, producendo la contaminazione da diossina di uova e carni agricole e causando la chiusura di oltre 4.700 allevamenti di polli e suini. Il Ministero della salute tedesco rendeva noto che il livello di contaminazione delle uova era di tre o quattro volte superiore alla soglia consentita, salvo poi essere corretto dal citato Ministro che avrebbe parlato di valori di contaminazione pari a 78 volte quelli consentiti. L'associazione di consumatori tedesca Foodwatch denunciava invece il superamento dei limiti di legge fino a 164 volte. Le autorità sanitarie tedesche segnalavano comunque l'assenza di un rischio sanitario acuto come conseguenza del consumo per un breve periodo di uova e carni agricole contaminate ai livelli riscontrati.
Le chiediamo pertanto, signor Ministro, in considerazione delle ulteriori gravi notizie riguardanti la diossina rinvenuta nelle carni suine in Germania, se possiamo avere una risposta chiara in merito ai reali rischi, anche immediati, per la salute dei consumatori in caso di ingestione di cibi contaminati da diossina.
FERRUCCIO FAZIOMinistro della salute. Signor Presidente, onorevole […], i valori massimi di diossina stabiliti dalla normativa comunitaria sono di un picogrammo per grammo di grasso per le carni suine, tre picogrammi per grammo di grasso per le carni bovine e tre picogrammi per le uova.
I criteri con cui vengono posti i valori massimi sono molto conservativi e, di fatto, il parametro di sicurezza è inteso cento volte inferiore al limite che può indurre in realtà tossicità nell'uomo.
Quanto al riscontro di derrate alimentari in Germania, innanzitutto la diossina è stata trovata in 18 campioni di uova e un unico campione di carne suina, con un valore di 1,51 picogrammi. Cos'è un picogrammo? È un miliardesimo di milligrammo.
Poiché in condizioni normali c'è diossina nell'ambiente e negli alimenti, un uomo che pesa 60 chilogrammi ha un carico corporeo di diossina dovuto alle normali esposizioni ambientali di circa 350 mila picogrammi complessivi. Quindi, è chiaro e intuitivo che per modificare in maniera significativa questo carico corporeo l'uomo dovrebbe ingerire centinaia di chilogrammi di carne suina contaminata al livello trovato nell'unico allevamento suino risultato positivo nella bassa Sassonia.
Infatti, l'EFSA, che è l'Agenzia per la sicurezza alimentare, ha stabilito come dose settimanale accettabile di assunzione di diossine per la dieta un valore di 14 picogrammi per ogni chilo di peso corporeo dell'uomo. Quindi, un uomo di sessanta chili tollera 840 picogrammi alla settimana di diossina, che equivarrebbe all'assunzione di 140 chili alla settimana di carni suine ai livelli trovati nella bassa Sassonia.
Ricordo che nel 2008 in Irlanda c'era stato un fenomeno analogo di diossine nelle carni suine e che l'EFSA, nonostante il livello fosse di cento volte superiore, cioè si parlava di 200 picogrammi per grammo all'epoca, aveva dichiarato che anche con consumo giornaliero a base solo di carne suina altamente contaminata non vi sarebbero stati accertamenti negativi per la salute.
Quindi, escludiamo che allo stato attuale, sulla base di queste informazioni, ci sia alcun rischio per la salute del consumatore italiano.
Quanto, invece, al piano dei controlli, in via precauzionale, domani avremo una riunione con l'Istituto superiore della sanità e gli istituti zooprofilattici delle regioni e al termine daremo comunicazione alla stampa della situazione del piano dei controlli.
PRESIDENTE. L'onorevole […] ha facoltà di replicare.
ONOREVOLE […]. Signor Presidente, la ringrazio signor Ministro per essere stato così puntuale nel rispondere al nostro quesito. Vorrei però far presente che, come lei sa, la diossina funziona per accumulo, cioè danneggia l'organismo nel corso del tempo a causa dell'accumulo che si forma. È chiaro che bisogna comunque fornire dati precisi, dato che la Germania non ha fornito questi dati e mi risulta che si stiano facendo ancora dei controlli per capire esattamente quale fosse l'ammontare concreto di diossina presente in questi prodotti.
Dico, però, che qui c'è anche un altro problema, cioè quello di tutelare, da un lato, la salute dei consumatori italiani e, dall'altro, anche quello di tutelare gli stessi prodotti dell'agroalimentare italiano.
Quindi, per il primo punto, noi ci permettiamo di suggerire anche una proposta italiana da fare in Europa, cioè quella di imporre la separazione degli impianti che producono grassi per alimentazione animale da quelli che ne producono per uso industriale. Ad esempio, questo è un primo passaggio.
Mi permetto di dire anche che forse sarebbe opportuno, almeno per questo periodo, fino a quando anche la Germania non abbia fatto delle rilevazioni precise, bloccare l'ingresso dei prodotti di questo tipo che provengono dalla Germania.
Inoltre, suggerirei anche che forse sarebbe importante il discorso sulla tracciabilità dei prodotti, così come pare che si stia iniziando a fare anche a livello di Ministero dell'agricoltura, sia di quelli che sono consumati direttamente, sia per tutto ciò che comporta la lavorazione di questi prodotti. Si pensi al fatto che le uova sono comunque contenute in molti prodotti lavorati.
Quindi, occorre lavorare sulla tracciabilità dei prodotti italiani, che comunque sono abbastanza controllati già da adesso, e direi anche di far sentire la nostra voce in Europa a tutela dei nostri prodotti.

lunedì 17 gennaio 2011

Antitrust: rilievi sul recepimento della direttiva comunitaria su concorrenza nei servizi postali

Lo schema di decreto legislativo approvato dall’Esecutivo ha elementi di difformità rispetto alla disciplina comunitaria. Perplessità sulle modalità di affidamento del servizio universale, sul suo perimetro e sulle riserve a favore di Poste Italiane.
Senza un Regolatore realmente indipendente e imparziale la completa liberalizzazione dei servizi postali rischia di partire con il freno tirato. Lo scrive l’Antitrust, contestando, in una segnalazione al Parlamento e al Governo, il modello di Agenzia scelto nella bozza di decreto (parere parlamentare n. 313) varato dall’Esecutivo e ora all’esame delle Camere per il parere.
Secondo l’Antitrust il compito di vigilare sul percorso della liberalizzazione del settore postale viene affidato dal decreto a un organismo che, per espressa disposizione di legge, opera al servizio delle Amministrazioni Pubbliche ed è sottoposto ai poteri di indirizzo e di vigilanza di un Ministro, il quale ne definisce anche le funzioni, la struttura organizzativa e le modalità di finanziamento. L’Agenzia non potrebbe così qualificarsi neanche indipendente dagli operatori postali, visto che Poste Italiane, attuale fornitore del servizio universale e in posizione dominante nella gran parte dei mercati interessati, è una società a partecipazione pubblica totalitaria.
Per l’Antitrust il nodo dell’indipendenza e dell’imparzialità è invece cruciale perché il nuovo regolatore dovrà, in base al decreto, adottare i provvedimenti necessari a promuovere la concorrenza nei mercati postali. L’attribuzione delle funzioni regolatorie all’Agenzia anziché ad un’Autorità Indipendente non è inoltre conforme alle indicazioni europee.
Secondo l’Antitrust destano infine perplessità la mancata previsione di misure fondamentali per consentire la realizzazione di una concorrenza effettiva nel settore postale quali l’affidamento del servizio universale con procedure di evidenza pubblica, la revisione del suo perimetro e l’abolizione della riserva postale.
(dal Comunicato Stampa)

Roma, 15 gennaio 2011

lunedì 10 gennaio 2011

Raccomandazione su processi in tv - caso Sarah Scazzi

E' passata piuttosto 'sotto silenzio' la raccomandazione del Comitato dell'Autorità delle Telecomunicazioni sul rispetto del codice di autoregolamentazione sulle vicende giudiziarie in Tv, del 9 dicembre u.s.
Nonostante il tenore piuttosto blando della 'raccomandazione', strumento già di per sé 'soft', dal carattere non vincolante e privo di indicazioni specifiche, il documento è cionondimeno importante, sottolineando le responsabilità dei giornalisti e di chi fa 'informazione' su temi quali l'inserzione di elementi estranei al puro diritto di cronaca (quali comportamenti sessuali, ecc.), ovvero l'induzione ad eccessivo 'protagonismo' di soggetti che dovrebbero mantenere un necessario distacco istituzionale e/o professionale, come giudici ed avvocati.
Non secondaria, infine, la sottolineatura delle emittenti al contrario più 'virtuose', che rendono la raccomandazione non indirizzata indistintamente al mondo giornalistico televisivo tout court ma, al contrario, evidenziano i soggetti che sono riusciti a mantenere decorosa una professione oramai fondamentale per la formazione civile e culturale dello spettatore - cittadino.
Riportiamo quindi di sèguito il testo della raccomandazione.

Comitato per l’applicazione del codice di autoregolamentazione in materia di rappresentazione di vicende giudiziarie nelle trasmissioni radiotelevisive

RACCOMANDAZIONE  
Il Comitato per l’applicazione del codice di autoregolamentazione in materia di rappresentazioni di vicende giudiziarie nelle trasmissioni radiotelevisive si è riunito per esaminare, per le competenze ad esso attribuite, i rilievi espressi nella lettera indirizzata al medesimo dal Presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (2 novembre 2010), con riferimento alla “copertura mediatica” della vicenda giudiziaria relativa all’omicidio di Sarah Scazzi, nonché nella comunicazione del Presidente del Comitato di applicazione del Codice di autoregolamentazione media e minori [1], allegata alla citata lettera.
 1. In questa occasione, il Comitato ritiene di dover interpretare in termini generali le funzioni istituzionali e le responsabilità di cui è investito, segnalando che la vicenda comunicativa relativa alla giovane Sarah Scazzi ha dato luogo ad una copertura mediale eccessiva e ridondante, e si riserva di approfondire, ove ne ricorrano i presupposti, la verifica di specifiche violazioni di singole parti del Codice. Tale sovraesposizione, segnalata anche dalla stessa opinione pubblica, sollecita un intervento del Comitato anche a fronte dell’evenienza che eventi e fatti drammatici possano provocare nel prossimo futuro il ripetersi di una serialità comunicativa così esasperata, come peraltro segnalato nel Comunicato del Comitato del 2 dicembre scorso. In termini di carattere generale, il Comitato osserva che tale effetto di sovraesposizione non possa essere rilevato unicamente attraverso il mero dato quantitativo rappresentato dal tempo dedicato alla vicenda giudiziaria da ciascuna emittente televisiva e più in generale dai media, ma che anche questo aspetto debba essere oggetto di attente valutazioni, fermo restando il rispetto per le scelte di ciascun mezzo di comunicazione e di ogni testata giornalistica, in ordine allo spazio da dedicare ad una vicenda di cronaca, nell’esercizio della libertà d’informazione garantita dalla Costituzione. 
 2. Ciò premesso, il Comitato, richiamandosi alla propria funzione etica di organo autodisciplinare di attuazione del “Codice di autoregolamentazione in materia di rappresentazione di vicende giudiziarie nelle trasmissioni radiotelevisive”, ritiene di rivolgere comunque ai media le raccomandazioni che seguono. In primo luogo, il Comitato formula l’auspicio che l’informazione in materia di vicende giudiziarie si attenga ai principi deontologici di novità, essenzialità e correttezza che caratterizzano la professione giornalistica, evitando, in assenza di aggiornamenti sostanziali delle notizie, di alimentare gratuitamente l’interesse e l’ansia del pubblico attraverso continui annunci ad effetto di nuovi scoop, talvolta non esistenti nella realtà.
 3. Occorre anche ricordare che, soprattutto in un caso come quello dell’omicidio della minore Sarah Scazzi, si determina ormai un continuo rimbalzo multimediale di fatti e notizie che, in particolare sulla rete Internet, finisce per avere effetti imprevedibili di moltiplicazione di contatti e immagini, in grado di distorcere la percezione corretta degli eventi da parte della pubblica opinione; il Comitato ritiene, quindi, di raccomandare la massima diligenza nel compiere ogni necessario riscontro circa l’attendibilità delle notizie pubblicate, tenendo conto dei rischi di amplificazione e distorsione. 
4. Se è vero che è impossibile valutare la correttezza etica dell’offerta informativa unicamente in base a parametri di tipo quantitativo, alla luce dei principi deontologici dell’ essenzialità dell’informazione e della necessità di tutelare la sfera privata delle persone coinvolte, è altrettanto impossibile sottrarci alla raccomandazione che programmi e servizi debbano ispirarsi alla catena degli eventi più che alla pressione determinata dalla ritenuta necessità di una loro costante ripresa in ogni sede mediatica, al solo scopo di mantenere viva l’attenzione del pubblico. 
5. Il Comitato raccomanda di evitare, nell’osservanza dei principi deontologici della professione giornalistica, ogni insistenza su particolari e dettagli personali e riservati e, spesso, anche irrilevanti quali, ad esempio, i comportamenti sessuali di indagati o testimoni. Un analogo principio di tutela deve, a maggior ragione, applicarsi sia a difesa dei minori, soprattutto nella fascia protetta, sia alle vittime di eventi delittuosi, per evitare il rischio che anche la loro figura e identità vengano strumentalizzate ai fini di attrarre, o mantenere costante, in modo artificioso l’attenzione del pubblico.  
6. E’ auspicabile, inoltre, che i media evitino di assecondare ogni possibile eccesso di protagonismo degli operatori del diritto (magistrati, avvocati, consulenti e ausiliari degli organi giudiziari), e soprattutto che non si prestino a strumentalizzazioni funzionali a strategie processuali di parte, interferendo così con il regolare svolgimento delle attività giudiziarie, in modo non compatibile con i principi sanciti dal Codice di autoregolamentazione. 
7. Infine, si raccomanda, ancora una volta, a tutte le emittenti che le future eventuali trasmissioni che contengano la rappresentazione di vicende giudiziarie curino, con particolare attenzione, l’adozione di misure atte ad assicurare l’osservanza dei principi di obiettività, completezza, correttezza e imparzialità rapportati ai fatti e agli atti risultanti dallo stato in cui si trova il procedimento, con particolare riferimento alla garanzia dei principi della presunzione di non colpevolezza, del contraddittorio, del confronto dialettico tra difesa e accusa, della differenza tra documentazione e rappresentazione, della trasparenza e chiarezza sullo stato del procedimento e dei ruoli processuali, ecc., in applicazione dei criteri contenuti nel Codice di autoregolamentazione. 
8. Un profilo positivo può essere sottolineato e cioè che talune emittenti come La7 e poi anche Italia Uno e da un certo periodo Raitre, sono riuscite, in una propria autonoma scelta editoriale, ad attuare comportamenti improntati ad assoluta sobrietà, evitando ripetizioni e sovraesposizioni mediatiche.
9 dicembre 2010
                                                          
[1]
 Codice di deontologia relativo al trattamento di dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica