lunedì 25 ottobre 2010

Cosa accade al mercato delle Assicurazioni?

I recenti interventi dell’Autorità Garante della Concorrenza sulle inefficienze concorrenziali nel settore assicurativo.

Negli ultimi sei mesi, l’Autorità che vigila sulla Concorrenza e sul Mercato ha affrontato in due occasioni la questione inerente gli aspetti concorrenziali del settore RC Auto.
Il 6 maggio 2010 (provv. n. 21091/2010), infatti, l’Autorità procedeva ad un’ ‘indagine conoscitiva’ riguardante la procedura del risarcimento diretto e i suoi effetti sulla concorrenzialità del Settore. L’Autorità, si ricorda, ha sempre spinto molto su tale argomento, in quanto “tale innovativa modalità risarcitoria […] comporta l’estensione del confronto competitivo dall’ambito tradizionale dei premi e delle garanzie, a quello dei servizi liquidativi, con potenziali effetti incentivanti rispetto alla propensione alla mobilità degli assicurati”, oltre ad instaurare un “più chiaro e diretto rapporto tra compagnia ed assicurato”.
Tuttavia, nonostante siano passati oltre tre anni dall’introduzione di tale nuova filosofia risarcitoria, “le evidenze di mercato mostrano il permanere di alcuni profili di criticità”, in quanto risulta, contrariamente alle aspettative, che “il livello dei premi applicati dalle compagnie per i contratti RCA avrebbe conosciuto negli ultimi anni incrementi significativi e generalizzati”, con aumenti ‘medi’ del 15 %, sino ad oltre il 30% per l’assicurazione dei motocicli.
Con lo scopo di analizzare i motivi che hanno portato a tali importanti ed inattesi aumenti, l’Autorità ha quindi espresso l’esigenza di effettuare “una ricostruzione attendibile dell’andamento dei prezzi effettivi e dei costi del settore RCA” ed una verifica delle “modalità e [del]le tecniche con le quali viene determinato l’importo del forfait, i parametri ed i criteri sottesi alle decisioni adottate di volta in volta in ordine all’introduzione di correttivi al sistema di compensazione, nonché le diverse politiche di controllo dei costi dei risarcimenti adottate dalle compagnie”.
L’Autorità ha, quindi, richiesto e ricevuto da poco tali dati dalle Compagnie di assicurazione, dati che sono in fase di elaborazione e i cui risultati saranno, all’esito, pubblicati.
Ma successivamente, precisamente il 29 settembre u.s., il Presidente dell’Autorità, Antonio Catricalà, ha esposto più nel dettaglio le caratteristiche degli aspetti concorrenziali nel mercato delle Assicurazioni innanzi alla Commissione Industria, Commercio e Turismo del Senato della Repubblica.
Il Presidente Catricalà parte da un dato fondamentale, cioè che “nonostante l’inizio della liberalizzazione sia stato decretato, in attuazione del diritto comunitario, fin dal 1994, non si è attivato un efficace processo concorrenziale e conseguentemente non si è avuto un riflesso positivo sul contenimento dei prezzi”. Se tuttavia tale caratteristica può essere non rara, anche a livello internazionale, in mercati come quello assicurativo o finanziario, dove i servizi vengono scelti dal consumatore “attingendo ai suggerimenti di determinati intermediari cui si riconosce una particolare fiducia (l’agente come l’addetto allo sportello bancario)”, tuttavia vengono specificate “ulteriori criticità […] dal lato dell’offerta” all’interno del mercato italiano.
Oltre infatti a “comportamenti apertamente collusivi” verificati e sanzionati in alcune occasioni da parte dell’Autorità (es.: scambio di informazioni tramite un’organizzazione comune, nel 2000), vi sono altre “criticità di struttura non facilmente risolvibili ”.
Una, ad esempio, è rappresentata dal “numero rilevante di partecipazioni incrociate” tra le diverse Compagnie, nonché dalla “moltiplicazione degli incarichi di direzione per le stesse persone fisiche che si trovano nella direzione di imprese che dovrebbero essere tra loro concorrenti”. L’Autorità cita, a riguardo, una sua indagine conoscitiva di fine 2008, dove emerge che, nelle Compagnie di Assicurazione che rappresentano circa il 90% del mercato attivo del settore, il 71% “presentava legami costituiti da amministratori comuni con i propri concorrenti”.
            Da qui, logicamente, l’Autorità rileva gli “esiti non concorrenziali” di compagini imprenditoriali tra loro vicendevolmente interlacciate, come venne sottolineato nel 2006, quando l’acquisizione di Toro Ass.ni da parte di Generali si inseriva in realtà nella più ampia logica di “costituire o rafforzare una posizione dominante collettiva” tra Generali-Toro e Fondiaria-Sai.
            Già nel 2003, data a cui risale l’ultima Indagine conoscitiva sul settore r.c.a., del resto, nella quale erano già state segnalate le criticità inerenti un continuo accrescimento dei premi, una sostanziale immutabilità delle quote di mercato e un limitato ingresso di operatori stranieri nel mercato italiano, le Compagnie stesse avevano indicato nel sistema del risarcimento c.d. ‘indiretto’ modalità di servizio che non incentivavano “comportamenti virtuosi da parte dei diversi soggetti coinvolti” e che comportavano che l’assicurato rimaneva “di fatto indifferente alla qualità del servizio nella fase di liquidazione dei sinistri”.
            Ma nonostante la realizzazione di nuove formule di distribuzione su Internet, l’inserimento del divieto di imposizione di prezzi minimi (2006) e, soprattutto, l’inserimento, nel 2007, del meccanismo del risarcimento diretto, le rigidità e le criticità del Mercato delle Assicurazioni, in Italia, non sembrano, “ad un primo sguardo”, essere affatto migliorate, non avendo avuto l’effetto di “orientare il mercato verso esiti di maggiore efficienza”.
            Infatti, a distanza di quasi tre anni dall’introduzione del nuovo meccanismo risarcitorio, sono stati “registrati fenomeni di sensibile incremento del premio” accompagnati, dal 2009, anche da un “peggioramento del rapporto tra costo dei sinistri e premi (Loss Ratio)”, che sottolinea come neanche i costi dei sinistri risultano essere sotto controllo.
            Ad un aumento dei premi che sarebbe arrivato, per alcune categorie di veicoli, anche a 20-30 punti percentuali, viene richiamata anche la conferma dei dati dell’Eurostat, che nel periodo giugno 2009 – giugno 2010, ha segnalato un aumento della tariffa media italiana del 7,7 %, a fronte di una media europea del 5,4 %.
            A tali aumenti, si aggiungono poi anche le “modalità poco trasparenti con cui gli incrementi di premio sono resi noti ai consumatori”, aspetto su cui l’Autorità ha ricevuto molteplici denunce da parte di associazioni di consumatori e che sarà oggetto di autonomo approfondimento.
            Altro aspetto molto delicato, è poi quello inerente i criteri di compensazione dei costi dei sinistri tra le singole Compagnie, sistema definito dall’Autorità “alquanto intricato nel quale peraltro sono lasciate indefinite molte questioni” ed al quale si aggiunge la “scarsa conoscibilità dei lavori e delle determinazioni del comitato tecnico che […] deve […] calcolare i valori da assumere a base delle compensazioni”, attività per la quale, peraltro, “non risulta prevista alcuna forma di pubblicità”.
            L’Autorità pertanto, in presenza di tali elementi, desume che, in virtù di queste opacità di sistema, “si aprono spazi per decisioni non pienamente efficienti, quando non addirittura opportunistiche da parte degli operatori, senza che sia possibile effettuare un efficace controllo”.
            Inoltre, l’Autorità lamenta anche la circostanza che non ha visto concretarsi, nell’interesse dei consumatori, la possibilità (art. 14, co.I, D.P.R. n. 254/06) di prevedere riduzioni del premio assicurativo a fronte di forme di risarcimento del danno “in forma specifica” (ovvero: riparazioni a mezzo di officine convenzionate). Lì dove infatti è già avvenuto, ciò è stato senza comportare riduzioni sul premio e da parte di Compagnie che adottano tale tipologia di risarcimento come unica modalità, e non già come facoltà alternativa (e meno costosa).
Il pregiudizio nei confronti dei consumatori, da questo punto di vista, risulta dunque essere duplice: da una parte, non avere modalità ‘alternative’ di risarcimento, di per sé meno costose (anche per la Compagnia); dall’altra, in caso di adozione unica (come è avvenuto), vedere ridotto il ventaglio delle officine di riferimento, i cui criteri di selezione e convenzione potrebbero peraltro anche non essere sempre ragionevoli, e non avere alcun tipo di informazione preventiva in ordine a tali soggetti fiduciari: aspetto, quest’ultimo, che, come sottolinea espressamente l’Autorità, potrebbe anche determinare la scelta di una Compagnia rispetto ad un’altra.
Come conseguenza diretta di tali prassi, poi, emergono anche altre problematiche legate alla Concorrenza ed al Mercato, ovvero ci si chiede “se queste prassi commerciali, anziché determinare gli attesi contenimenti dei costi, in realtà non si siano risolte soltanto in uno svantaggio per le carrozzerie di minori dimensioni non fidelizzate a grandi compagnie”.
Ma probabilmente la criticità principale evidenziata dall’Autorità è ancora un’altra. Contrariamente infatti ad ogni aspettativa economica relativa all’adozione del modello di risarcimento diretto, al di là di una apprezzabile velocizzazione sui tempi di liquidazione dei danni, l’altro effetto riscontrato è che “si sarebbe amplificata la tendenza alla sottostima dei danni riconosciuti ai propri assicurati da parte delle compagnie”.
Tali elementi quindi, comuni a tutto il mercato assicurativo, hanno fatto sì che la propensione a cambiare Compagnia assicurativa sia rimasta estremamente bassa, anche se leggermente migliorata (dal 6,3% nel 2006 al 9,3% nel 2009), a fronte di livelli europei ben più alti (a questo proposito, l’Autorità cita il dato britannico del 45%)…
Sul punto, viene limitata anche l’efficacia del c.d. ‘preventivatore’ curato dall’ISVAP, le cui indicazioni si limitano ai profili tariffari, “senza fornire alcuna informazione sui contenuti contrattuali delle diverse polizze, che possono essere tra loro differenziati in maniera anche assai rilevante”.
In sintesi, dunque, l’Autorità ribadisce l’estrema necessità della sua indagine, “volta a comprendere la ragione per cui il modello teoricamente efficiente dell’indennizzo diretto, nei fatti non sembra riesca a contenere adeguatamente i costi e i premi”, attingendo ad un campione societario che rappresenta “oltre l’80% in quote di mercato sui premi raccolti annualmente”.
Ancora una volta, all’esito di tale indagine, potremo dunque verificare e, come suol dirsi, ‘toccare con mano’ le singolari qualità, anche in questo settore, del ‘calabrone’ Italia.

Avv. Antonio M. Polito

lunedì 4 ottobre 2010

Segnalazione dell'Antitrust su disegno di legge su distributori benzina

            L'Autorità Antitrust (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, A.G.C.M.) è intervenuta lo scorso 30 settembre per sottolineare una possibile limitazione delle regole della concorrenza in ordine ad una proposta inserita nello schema di disegno di legge annuale sulla concorrenza, in tema di distribuzione di carburanti.

            L'Autorità ha infatti evidenziato alle massime cariche dello Stato, in virtù dei suoi poteri d'intervento e segnalazione ex art. 22 della legge n.287/1990, che alcuni contenuti del verbale d'intesa delle associazioni di categoria dei distributori di carburante, frutto di una minaccia di sciopero sindacale poi revocato, il cui contenuto potrebbe confluire nel testo della legge annuale, "siano peggiorative, sotto il profilo concorrenziale, rispetto alle soluzioni normative in materia individuate originariamente nello schema di disegno di legge annuale predisposto dal Ministero dello Sviluppo Economico".
          
             Si evidenziano quindi le parti più importanti della segnalazione dell'AGCM.

             Sottolinea l'Autorità che "le modifiche allo schema di disegno di legge allegate al verbale di intesa: a) limitano al 25% delle risorse del Fondo per la razionalizzazione della rete dei carburanti (di cui al decreto legislativo n. 32/98) quelle destinabili alla chiusura dei retisti indipendenti; b) eliminano la previsione di una contribuzione maggiorata del 50% al suddetto Fondo da parte degli impianti dei comuni “inadempienti” nell’attività di chiusura degli impianti incompatibili.  Si tratta in entrambi i casi di modifiche idonee a dilazionare il processo di ammodernamento della rete di distribuzione di carburante nazionale, ed in quanto tali  suscettibili di determinare effetti di mantenimento dell’attuale inefficienza della rete (oltre che il perdurare del cd “stacco” dei prezzi italiani rispetto alla media europea)".

              Tuttavia, si ravvedono anche altri aspetti potenzialmente limitativi per uno sviluppo della concorrenzialità (e quindi, della qualità) dei servizi di distribuzione del carburante.

              "Nella sua formulazione originaria, prosegue l'Autority, lo schema di disegno di legge annuale vietava, all’art. 28, al comma 1, alle Regioni ed alle Province Autonome la possibilità di porre vincoli in materia di: a) utilizzo di apparecchiature self service pre-pay durante le ore di apertura in cui gli impianti forniscono anche la modalità servito; b) apertura di nuovi impianti, ovvero trasformazione di impianti esistenti, in modalità completamente automatizzata (cd impianti ghost). Sempre al fine di garantire una maggiore concorrenza, l’art. 28 vietava inoltre la possibilità per gli enti locali di porre l’obbligo per i nuovi impianti di assicurare contemporaneamente la distribuzione di carburanti e di metano e/o GPL (comma 2).
               "In quella formulazione la norma correttamente recepiva una serie di indicazioni contenute in recenti segnalazioni dell’Autorità a numerose Regioni ed enti locali, nelle quali si evidenziava l’effetto restrittivo derivante dalla eccessiva pervasività della regolamentazione locale a fronte dei principi di piena liberalizzazione all’apertura degli impianti di distribuzione prescritti dalla riforma nazionale del 2008 (art. 83 della legge n. 133/08).
               "In ogni caso, lo sviluppo di una forte “selfizzazione” della rete (sino all’apertura di impianti completamente automatizzati come avviene di norma nei principali paesi europei) è sempre stato visto dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato come un auspicabile sviluppo della rete di distribuzione nazionale al fine di ridurre il cd “stacco” dei prezzi nazionali dalla media europea

               "Nelle ipotesi di modifica allo schema di disegno di legge, tuttavia, viene integralmente soppresso il comma 2, e il comma 1 viene riformulato nel senso di prevedere semplicemente “anche” la presenza di impianti self service in ogni impianto di distribuzione, senza però più affermare il divieto in capo alle Regioni ed alle Province Autonome di regolamentare in modo restrittivo l’effettiva operatività degli stessi.

                "Da ultimo, la proposta di modifica dell’art. 29 dello schema di disegno di legge annuale interviene sul comma 3 di detto articolo, eliminando la possibilità, precedentemente prevista, di esercizio delle attività non oil da parte di soggetti non titolari delle licenze di esercizio (salvo rinuncia del diritto da parte di questi ultimi). 
                 "In conclusione, le nuove formulazioni previste per gli artt. 28 e 29 del disegno di legge annuale, appaiono poco efficaci rispetto all’indifferibile esigenza di garantire un’uniforme applicazione a livello locale dei principi di liberalizzazione sanciti a livello nazionale dall’art. 83 della legge n. 133/08.
            
                  "L’Autorità, al fine della promozione di uno sviluppo più concorrenziale del settore della distribuzione carburanti in Italia, auspica, quindi che le modifiche sopra individuate vengano espunte dal testo del disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza, o direttamente in sede di analisi del provvedimento da parte del Consiglio dei Ministri, o in sede di esame parlamentare dello stesso, reintroducendo altresì disposizioni realmente liberalizzatrici a favore del mercato e dei consumatori, fermo restando la previsione che prevede la caduta dell’esclusiva di fornitura".

                   Ancora un esempio, dunque, di come un'attenta Autorità del Mercato super partes possa non solo essere fondamentale nella redazione e valutazione di testi di legge che incidono concretamente sulla realtà economica del Paese, ma erigersi anche ad importante soggetto istituzionale a difesa degli interessi nazionali ad una concreta politica di modernizzazione e, pertanto, ad una reale tutela degli interessi dei consumatori.

                                                                      Avv. Antonio M. Polito

venerdì 1 ottobre 2010

Contratti bancari e diritto di recesso

Modifica unilaterale dei contratti bancari di durata e diritto di recesso:
una ricognizione problematica.

Avv. Antonio M. Polito

                   L’intervento dell’art.10 del d. l. del 4 luglio 2006, n.223, convertito, con modifiche, con L. n. 248 del 4 agosto successivo, sulla disciplina delle variazioni unilaterali delle condizioni contrattuali nei rapporti bancari, ha determinato qualche incertezza interpretativa di non secondaria importanza.
                  In particolare, tali incertezze hanno riguardato i presupposti obiettivi di una tale facoltà, e la ripartizione dei costi ad essa collegati. Un documento di ‘chiarimenti’ da parte del Ministero dello Sviluppo Economico del 27 febbraio 2007, tuttavia, ha inteso far chiarezza sull’istituto, ma non tutti i motivi di perplessità sembrano fugati.
                  Si verificheranno pertanto le persistenti criticità del testo, pur dopo i chiarimenti governativi.
                  Un primo aspetto dal quale si ritiene opportuno partire, pur se non derivante da incertezze di natura letterale, è quello inerente la possibilità di esercitare la facoltà di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali solo se espressamente prevista in contratto. Per essere più precisi, allora, converrà dire che tale ‘facoltà’ attribuita dalla Legge non riguarda i contratti di durata tout court, ma solo quelli per i quali sia stato espressamente ‘convenuto’ la possibilità di esercitarla. In altre parole, la legge di riforma non ha reso tale facoltà ‘naturale’ ad ogni contratto di durata, bensì ne ha reso legittimo l’inserimento pattizio (e, come vedremo, a certe condizioni). Ribadiamo che il testo (riformato) del primo comma dell’art.118 del Testo Unico Bancario (D. Lgs. 385/1993) è chiaro a riguardo, ma riteniamo che tale fondamentale presupposto (operativo ed interpretativo) sia, in qualche commento, non sufficientemente sottolineato.
                  Tale esplicita convenzione, deve poi rispettare tre presupposti fondamentali, uno di natura formale e due di natura sostanziale, ovvero che:
a)      sia possibile esercitare tale facoltà solo in presenza di un ‘giustificato motivo’;
b)      solo per fattispecie di variazione già previste in contratto (impossibile l’introduzione di clausole ex novo);
c)      sia pattuita nel rispetto delle forme previste dall’art.1341 C.c., co. II (la generale disciplina sulle ‘condizioni generali di contratto’, ovvero l’espressa e separata sottoscrizione per iscritto).
                  A tale facoltà, essendo attribuita in via del tutto eccezionale ad una sola delle parti del contratto, viene riconosciuta specularmente, per mantenere l’equilibrio sinallagmatico, una conseguente facoltà di recesso da parte dell’altro contraente, che ha così la possibilità di recedere, entro sessanta giorni e senza spese, da un contratto dalle condizioni modificate e da lui mai accettate.
                  Tralasciando le questioni inerenti l’ambito di applicazione soggettivo di tali facoltà, definiti nella nota del Ministero genericamente come ‘intermediari’ e che vengono dettagliatamente individuati, è opportuno soffermarsi su due degli aspetti sopra elencati, partendo da quello del ‘giustificato motivo.
                  Tale aspetto, secondo la lettura del Ministero, può afferire sia alle qualità del cliente, quali il suo ‘grado di affidabilità’, sia alle variazioni di condizioni economiche generali che influiscano sui costi operativi sostenuti dagli intermediari.
                  Sul punto, tuttavia, è opportuno formulare due osservazioni.
                  La prima è che, sempre secondo il disposto del comma I del novellato art. 118 T.U.B., anche la prospettazione del ‘giustificato motivo’ sembra dover rispettare i criteri dell’art. 1341 C.c., e pertanto si dovrebbe concludere, a nostro avviso, per una comunicazione preventiva ed espressamente accettata e sottoscritta, pur generica, degli elementi che possano rappresentare ‘giustificati motivi’ di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali. Il testo, sul punto, ci sembra alquanto rigido e difficilmente compatibile con una interpretazione meno rigorosa. Un mancato rispetto di tali formalità dovrebbe comportare pertanto, anche in questo caso, l’inefficacia di tali clausole, qualora fossero sfavorevoli per il cliente (ex art.118, co.III, T.U.B.).
                  La seconda osservazione riguarda invece i costi operativi sostenuti dagli intermediari che, secondo il Ministero, possono aumentare, variando così le condizioni contrattuali, in ciò giustificando la facoltà di modifica unilaterale. La peculiarità di tale previsione, tuttavia, è che tale aspetto funziona solo a favore dell’intermediario e non anche, in senso contrario, in favore del cliente. Ovvero, se il costo per l’intermediario dovesse aumentare, quest’ultimo potrebbe esercitare la facoltà di modifica unilaterale; al contrario, se il cliente dell’intermediario dovesse avere conoscenza di un intermediario che ha costi più bassi, non potrebbe godere lui stesso della medesima facoltà (modifica salvo recesso)… . Certo, si è ben consapevoli come possa ritenersi ingiustificato equiparare un soggetto che dei costi ce li ha (l’intermediario), con uno che non ne ha (il cliente), ma se ci poniamo nell’ottica delle parti all’interno di un contratto, e di ciascuna di esse nel reciproco rapporto economico e sinallagmatico, all’aumento del ‘rischio’ di una (il possibile aumento dei costi) dovrebbe paragonarsi l’aumento del ‘rischio’ dell’altra (vincolatività contrattuale a tempo indeterminato a fronte di altre condizioni contrattuali più vantaggiose). Probabilmente, tuttavia, tale limitazione può essere ritenuta compensata dalla previsione di cui all’art.10, co.II, della L. 248/06 (sulla quale si legga infra).
                  Correttamente, infine, il chiarimento del Ministero evidenzia anche come il ‘giustificato motivo’ debba essere comunicato, affinché il cliente possa valutarne la fondatezza e la congruità, ovvero contestarlo e difendere i propri interessi.
                  Il secondo aspetto particolarmente delicato della normativa citata, è infine quello relativo alle spese in caso di recesso.
                  Da questo punto di vista, la disciplina, dopo la legge di conversione dell’agosto 2006, è diventata duplice, atteso che, nello stesso articolo (art.10), sono contemplate due fattispecie distinte, ovvero, sempre nell’ambito di contratti di durata,:
a)      il recesso del cliente a sèguito di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali (co. I);
b)      il recesso del cliente, prevista come facoltà sempre liberamente esercitabile (co. II).
                  Il primo, infatti, viene disciplinato dal testo dell’art. 118, co. II, del T.U.B. (per come novellato dall’art.10, co.I, della L. 248/06), in cui si specifica che il cliente, in caso di recesso a sèguito di modifica unilaterale da parte dell’intermediario, possa esercitare il suo diritto “senza spese”.
                  Il secondo, invece, viene disciplinato dal comma II dell’art.10 della L.248/06, esula pertanto il contenuto (e i limiti) del T.U.B. e specifica come “in ogni caso, nei contratti di durata, il cliente ha sempre la facoltà di recedere dal contratto senza penalità e senza spese di chiusura”.
                  Da tale diversa disciplina, allora, e sulla base della maggiore ampiezza della prima dizione rispetto all’altra, può argomentarsi che, mentre in caso di recesso a sèguito di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali, al cliente non possa addebitarsi nessuna spesa, l’esercizio del recesso non giustificato da modifica contrattuale, possa comportare il pagamento da parte di quest’ultimo di quelle spese che non rientrino in ‘penalità’, né in ‘spese di chiusura’.
                  Da qui, appare agevole concludere quella che potrebbe delinearsi come la ‘disciplina dei costi’ sopportati dal soggetto intermediario, che nel caso di recesso dovuto a modifica unilaterale, non dovranno certamente essere addebitati al cliente, mentre nel caso di recesso non giustificato da parte del cliente, potrebbero trovare maggior motivo (giuridico e funzionale) per una loro attribuzione a quest’ultimo.
                  Su tale ultimissimo punto, peraltro, si specifica come le indicazioni date dal Ministero nel 2007 siano discordi con la tesi qui sostenuta (inglobando i ‘costi di chiusura’ nelle ‘spese di chiusura’), ma anche discordanti, a nostro modesto parere, con il testo normativo, ponendo una distinzione tra ‘costi di chiusura’ interni (non addebitabili) e ‘costi di chiusura’ sostenuti da soggetti terzi (addebitabili al cliente), che, salvo espressa pattuizione contrattuale (e sempre che rispetti le formalità dell’art.1341, co.II, C.c.), non essendo previsti da alcun dato normativo, non sembra giustificabile.

(pubblicato originariamente il 14.04.2010)

Spese bolletta Telecom: replica a Ing. Toscano

Ho avuto piacere che l'Ing. Toscano sia stato interessato dai miei rilievi sulle citate sentenze della Cassazione, e prendo atto delle sentenze citate nel commento.
Mi preme tuttavia sottolineare come, in realtà, quanto emerso dalla sentenza della Cassazione del 2005 citata nel commento, non sia in contrasto con quanto motivato nelle sentenze del 2009, in quanto queste ultime approfondiscono la materia non risolvendo la questione in via meramente interpretativa (emissione della fattura che comprende il suo invio), ma sulla base di una solida base normativa. La Corte nel 2009, infatti, inserisce due ulteriori e fondamentali elementi: 1) la previsione contrattuale (del contratto sottoscritto con Telecom) per la quale le spese di invio fattura sono a carico dell'utente; e 2) l'art.53 della convenzione di concessione del servizio di telecomunicazione ad uso pubblico alla SIP (ora Telecom), approvata con DPR n.523/1984, che prevede l'inserimento obbligatorio di facoltà alternative di recupero della fattura, senza addebito di spese.
E' sulla base di tali elementi, allora, che il più recente orientamento del Giudice delle Leggi, con ancora maggiore sicurezza e minori 'rischi interpretativi', riesce a dirimere (sembra definitivamente, anche se con la 'beffa' del rigetto dei ricorsi...) la controversa questione.
Mi è sembrato opportuno esplicitare ancora una volta tali elementi, anche per meglio identificare gli elementi 'forti' che caratterizzano le ultime decisioni, a differenza di quelle citate dall'Ing. Toscano che, pur pregevoli, si inoltrano ancora per il percorso scivoloso dell'interpretazione letterale delle norme sull'IVA.
Ringrazio ancora per l'interessamento ed il proficuo confronto.
Avv. Antonio M. Polito
(pubblicato originariamente in data 17.12.2009)

Spese bolletta Telecom: commento dell'Ing. Toscano del Movimento Consumatori Catania.

Pubblico la gentile mail inviatami dall'Ing. Toscano del Movimento Consumatori, sportello di Catania, sul contenuto della quale, a breve, aggiungerò a mia volta un commento.

Gent.mo Avv. Polito,

ho estremamente apprezzato il suo articolo sulla "vera storia delle spese di spedizione bolletta", forse attualmente l'unico che abbia fatto luce sui reali contenuti delle note sentenze n. 3532, 3542 della Cassazione.
Ho provato ad aggiungere un commento sul suo blog ma c'è qualche script che genera errore e quindi non riesco a postare.

Le comunico quindi in questa mail quanto volevo aggiungere [...].

Oltre le suddette recenti sentenze  della SC, ve n'è una del 2005 che in un breve passaggio evidenziava concetti che si contrappongono (evidenziando quindi un contrasto giurisprudenziale all'interno della SC) a quelli ora affermati dalla SC quando dice che "... La spedizione della fattura non si presta ad essere ricondotta all'operazione di emissione per il fatto che dell'art. 21, comma 1, u.p., reciti, che "La fattura si ha per emessa all'atto della sua consegna o spedizione all'altra parte ... consegna o spedizione della fattura non costituiscono un segmento della fatturazione…”. Infatti, con la sentenza n. 16702 del 2005, la SC richiamava lo <<… esatto adempimento degli obblighi di fatturazione e di registrazione di cui agli artt. 21, 23, 24 e 25 del citato D.P.R. (NDR: 633/1972) - secondo i quali il cedente deve emettere la fattura per l'operazione imponibile, annotarla nel registro delle fatture e trasmettere copia,… , al cessionario>> evidenziando quindi l’obbligo di consegna o spedizione della fattura all’altra parte, obbligo che invece non appare più tale nelle più recenti sentenze della SC prima richiamate, sebbene secondo il comma 8 dell’art. 21 del DPR 633/1972 "le spese di emissione della fattura e dei conseguenti adempimenti e formalità non possono formare oggetto di addebito a qualsiasi titolo"; secondo il comma 1: "La fattura si ha per emessa all'atto della sua consegna o spedizione all'altra parte"; secondo il comma 4: “La fattura in formato cartaceo è compilata in duplice esemplare di cui uno è consegnato o spedito all’altra parte”, ergo, secondo me, consegna o spedizione sono un preciso dovere di chi emette la fattura e fanno parte dell'emissione della fattura e quindi le spese di questa emissione “non possono formare oggetto di addebito a qualsiasi titolo.
Inoltre la recente sentenza n. 6510/2009 del Tribunale di Napoli , successiva alle suddette sentenze n. 3532-3542/2009 begin_of_the_skype_highlighting              3532-3542/2009      end_of_the_skype_highlighting della Cassazione, condanna ancora la Telecom per l’addebito delle spese di spedizione, affermando che <<… deve rilevarsi come la consegna o la spedizione della fattura facciano certamente parte – conformemente a quanto sostenuto da altri giudici di merito – dei “conseguenti adempimenti e finalità” di cui all’art. 21, comma 8, del PDR 633/1972, le cui spese non possono formare addebito a qualsiasi titolo al cliente. Deve peraltro rilevarsi che la consegna o spedizione della fattura  costituisce – secondo lo spirito della normativa – elemento indispensabile del procedimento di emissione della fattura che, senza la consegna o la spedizione, nemmeno pare acquisire rilevanza giuridica esterna restando atto meramente interno alla sfera giuridica dell’emittente. Inoltre, in relazione alla previsione contrattuale invocata da Telecom Spa, va sottolineato come la clausola che attribuisce al cliente l’onere di pagare le spese di spedizione della fattura è nulla proprio per contrarietà alla norma imperativa di cui all’art. 21 sopra esaminato che esclude che le spese per la emissione della fattura possano essere addebitate al cliente. Il carattere imperativo della cennata disposizione emerge dal fatto che essa, per evidenti finalità di interesse generale, disciplina proprio la ripartizione tra i soggetti interessati degli oneri connessi alla imposizione fiscale. >> ed inoltre che <<... deve rilevarsi come in ogni caso il comportamento tenuto dalla appellante ... sia da considerare contrario ai principi di buona fede e correttezza ponendo necessariamente a carico del cliente oneri aggiuntivi (cfr. l’orientamento seguito di recente dalla Suprema Corte nelle sentenze richiamate dalla stessa parte appellante).>>, laddove quest’ultima costituisce affermazione di un principio di carattere generale che prescinde dal particolare rapporto contrattuale con una specifica società.

Spero lei possa riportare queste mie note sul suo blog, qualora le ritenesse fondate e degne di essere divulgate.
Cordialmente,

Ing. Giuseppe Toscano
consigliere "Movimento Consumatori" sportello di Catania
www.movimentoconsumatorict.it

(pubblicato originariamente in data 11.12.2009)

ABI - Asssociazioni consumatori: basi per il 'Conto Corrente Semplice'

Dal sito dell'Associazione Bancaria Italiana (A.B.I.).
ABI: Accordo con le Associazioni dei Consumatori sul nuovo “Conto Corrente Semplice”.
Siglata intesa tra l’Associazione bancaria e tutte le Associazioni dei consumatori riconosciute a livello nazionale sulle caratteristiche del nuovo “Conto Corrente Semplice”, il prodotto previsto da Banca d’Italia per far fronte alle esigenze di base dei consumatori e favorire l’inclusione finanziaria
Firmato l’accordo sui contenuti del “Conto Corrente Semplice”, lo strumento disegnato sulle esigenze di base dei consumatori che, attraverso il pagamento di un canone annuo fisso onnicomprensivo, consentirà di usufruire di un numero determinato di operazioni e di tipologie di servizi. L’intesa è stata siglata oggi a Roma, tra il Presidente dell’ABI, Corrado Faissola, e tutte
le Associazioni dei consumatori che fanno parte del Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti (Cncu), dopo una serie di incontri.
L’intesa segue le indicazioni di Banca d’Italia che all’interno delle nuove Istruzioni in materia di “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari” ha richiesto all’ABI e alle Associazioni dei consumatori di indicare, entro il 31 ottobre, gli elementi distintivi del nuovo “Conto Corrente Semplice”. Le caratteristiche del prodotto, che potrà essere offerto facoltativamente dalle banche, saranno stabilite da Banca d’Italia sulla base dell’accordo odierno.
L’obiettivo è mettere a disposizione di tutti i cittadini un efficace strumento per favorire l’inclusione finanziaria di circa 8 milioni di consumatori italiani e agevolare l’accesso ai servizi bancari, specialmente delle fasce di clientela più deboli, quali i protestati, gli immigrati, i soggetti senza storia creditizia.
Il “Conto Corrente Semplice” prevede, in particolare:
• un canone annuo onnicomprensivo e un tasso di interesse creditore fissati dalla banca;
• due distinte offerte a seconda che le operazioni siano eseguite allo sportello o online;
• un’elevata comprensibilità del prodotto grazie alla coincidenza tra canone onnicomprensivo
del prodotto e Indicatore Sintetico di Costo riportato nella documentazione informativa: il numero di operazioni e la tipologia dei servizi corrisponde infatti al profilo tipo di utilizzo.
Relativamente al numero di operazioni e alla tipologia dei servizi inclusi nel canone del “Conto Corrente Semplice”, non è prevista nessuna spesa, onere o commissione, all’infuori del canone stesso e degli oneri fiscali previsti per legge.
A margine dell’accordo l’ABI ha dichiarato che sosterrà la richiesta al Ministero dell’Economia e a tutti i soggetti interessati di una proposta finalizzata all’abolizione dell’imposta di bollo per il “Conto Corrente Semplice”, con l’obiettivo di rendere questo nuovo strumento ancora più conveniente e favorire ulteriormente, dunque, gli obiettivi generali di inclusione finanziaria.
Roma, Palazzo Altieri, 28 ottobre 2009.
(pubblicato originariamente in data 9.10.2009)

Il costo economico della mancata tutela della disabilità

Dal sito dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (O.I.L.):
Le persone disabili rappresentano il dieci percento della popolazione mondiale. Spesso esclusi e marginalizzati, i disabili sono particolarmente vulnerabili in tempo di crisi. A questo proposito, l’attuale crisi economica mondiale è ancora più preoccupante. […] L’OIL ha intervistato Barbara Murray, specialista principale delle questioni della disabilità in seno all’OIL, sull’importanza della considerazione delle persone disabili nelle misure di risposta alla crisi.

Qual è stato l’impatto della crisi sulle persone disabili?
Barbara Murray: Esistono pochi dati mondiali affidabili sulle persone disabili in tempo di crisi, pertanto dobbiamo attenerci ai reportage fatti da alcune prime pagine di giornali. Esse mostrano che il numero di lavoratori disabili impiegati si riduce, che le risorse pubbliche per i programmi sulla loro impiegabilità ed il loro lavoro hanno delle restrizioni, e che la domanda di prodotti che escono da imprese che impiegano lavoratori disabili può diminuire. Tutto ciò interviene su mercati del lavoro nei quali gli uomini e le donne disabili sono già in posizione di inferiorità, con delle percentuali di disoccupazione più elevati e dei livelli di attività più deboli che le persone non disabili. La crisi economica attuale mette in luce gli ostacoli con i quali si confrontano i disabili e pone al centro delle preoccupazioni la necessità di uno sviluppo durevole e che non esclude nessuno.
Ci può fornire qualche esempio concreto?
BM: E’ stato riportato che in Giappone le imprese hanno soppresso circa 2.800 posti di lavoro di disabili l’anno scorso, il numero maggiore da sei anni. In Australia, l’abbassamento del PIL ha comportato delle riduzioni sensibili nelle spese federali devolute ai programmi che preparano le persone disabili al lavoro. Un recente studio americano sul segmento della disabilità nella sicurezza sociale, dimostra che il numero di disabili che depositano delle domande ha raggiunto una soglia superiore ai 2,3 milioni nel 2008, dato che riflette in maniera essenziale la diminuzione dei loro stipendi. Questi sono gli esempi che abbiamo potuto verificare – ne esistono molto probabilmente numerosi altri.
Esiste dunque un legame stretto tra disabilità e povertà?
BM: La disabilità è al tempo stesso una causa ed una conseguenza della povertà. I legami tra povertà e disabilità sono largamente riconosciuti. Le Nazioni Unite stimano che l’80 percento delle persone disabili dei paesi in via di sviluppo vivono nella povertà. Circa il 20% dei poveri nel mondo ha un handicap, secondo la Banca Mondiale. In più, nei paesi in via di sviluppo, molte persone disabili vivono in zone rurali dove l’accesso alla formazione, alle offerte ed ai servizi per l’impiego è limitato. Le persone disabili hanno meno possibilità di conseguire un impiego che non le persone sane. Rischiano così di guadagnare proventi inferiori a quelli delle persone senza handicap.


Quali sono le principali tematiche da affrontare per favorire l'inserimento delle persone disabili?
Barbara Murray: Sono quelle sottostanti la povertà, di bassi tassi di di partecipazione alla vita attiva e di lavoro, oltre che delle disparità salariali evidenti nel mondo intero. L'accesso all'educazione e la formazione a qualifiche ricercate sul mercato del lavoro sono le prime tematiche da affrontare. Per l'UNESCO, nei paesi in via di sviluppo, più del 90 per cento dei bambini portatori di handicap non sono scolarizzati, ciò che li svantaggia quando si tratta di di integrare dei programmi di formazione qualificante, di essere in competizione sul mercato del lavoro per ottenere un impiego, o di aprire una piccola impresa vitale. In oltre, ambienti fisici e tecnologie di comunicazione inaccessibili impediscono alle persone disabili di lavorare in rapporto di eguaglianza con gli altri. E del tutto naturalmente, le false credenze in ordine alle attitudini ed alle capacità di lavoro dei disabili, oltre agli aspetti negativi che le accompagnano, portano spesso alla discriminazione in materia di assunzione e promozione, ed alla difficoltà di conservare il proprio lavoro da parte di un lavoratore diventato disabile.
Al di là dei bambini, qual è l'impatto della crisi sulle donne disabili?
B.M.: Tra i disabili, gli uomini hanno quasi il doppio di possibilità di trovare un lavoro, rispetto alle donne. Per esempio, nei paesi dell'Unione europea, il 49 percento delle donne disabili e il 61 percento degli uomini disabili lavorano, rispetto al 64 percento delle donne non disabili. Nella Repubblica della Corea il 20,2 percento delle donne disabili ed il 43,5 percento degli uomini disabili hanno un lavoro, contro il 49,2 percento delle donne ed il 71,1 percento degli uomini validi.
Qual è il ruolo dell'O.I.L. per ciò che riguarda la crisi e la disabilità lavorativa?
B.M.: Il Patto mondiale del Lavoro dell'O.I.L., adottato consensualmente tra i lavoratori, i datori di lavoro e i governi nella Conferenza internazionale del Lavoro nel giugno 2009, costituisce una buona rotta per la ripresa – a livello locale, nazionale e mondiale – con una rinnovata ricerca di una mondializzazione giusta e durevole. Il Patto si fonda sull'Agenda dell'O.I.L. per il lavoro decoroso che associa lavoro, diritti sul lavoro, protezione e dialogo sociale. Contribuerà anche a colmare il fossato delle ineguaglianze tra uomini e donne disabili e validi in periodi di rallentamento dell'economia, oltre a partecipare alla coesione sociale ed alla stabilità.
Quali sono le misure prese dall'O.I.L. per colmare questo scarto tra le persone valide e quelle disabili?
B.M.: La maniera più semplice per rispondere a questa domanda è di dire che adottiamo un duplice approccio. Il primo implica dei programmi e delle iniziative specifiche in favore della disabilità a livello di singolo paese, finalizzato a superare inconvenienti o ostacoli particolari che subiscono certe persone disabili. Il secondo approccio si sforza di garantire che le persone disabili siano integrate nei servizi e nei programmi convenzionali in materia di formaizone profesisonale, di impiego, di sviluppo dell'impresa e della microfinanza.
Sino a che la piena integrazione e l'uguaglianza di possibilità e di trattamento non diverrà una realtà per tutti i disabili a prescindere dalla loro tipologia, il doppio approccio è indispensabile. In entrambi questi approcci, noi agiamo grazie alla ricerca, all'accumulo di conoscenze sulle buone prassi, alle azioni di rivendica, al rinforzo delle capacità e dei servizi di cooperazione tecnica. Il nostro lavoro consiste anche a comunicare con i media, più specificamente a condividere i risultati delle nostre esperienze acquisite grazie alla ricerca ed alle lezioni apprese sul campo. Abbiamo ancora molto cammino da fare ma siamo convinti che lavorando con i governi, con le parti sociali, con le agenzie della società civile e con le organizzazioni di persone disabili nel mondo, insieme, possiamo fare la differenza.
(Trad. Avv. Antonio M. Polito)
(pubblicato originariamente in data 11-16.11.2009)

UE contro vendita di suonerie

Dal sito della Commissione Europea:

Dopo aver annunciato un giro di vite contro le pratiche ingannevoli per i consumatori, l'UE ha condotto un'indagine a tappeto su oltre 300 siti che offrono servizi per cellulari.
Dopo aver annunciato un giro di vite contro le pratiche ingannevoli per i consumatori, l'UE ha condotto un'indagine a tappeto su oltre 300 siti che offrono servizi per cellulari.
Finora 54 siti sono stati chiusi e altri 159 "ripuliti", vale a dire costretti a correggere pratiche contrarie alla normativa dell'UE a tutela dei consumatori. Nell'ambito dell'indagine le autorità italiane hanno multato nove fornitori di contenuti e operatori di telefonia mobile per un valore complessivo di 2 milioni di euro.
I siti figuravano tra i 558 inizialmente sottoposti a verifica nel corso di una settimana nel giugno 2008: un'operazione condotta contemporaneamente nei 27 paesi dell'UE, più Norvegia e Islanda. Si tratta di siti che vendono contenuti per cellulari, come suonerie, sfondi, logo, giochi e abbonamenti a servizi di chat.
L'indagine è scattata a seguito di centinaia di reclami, soprattutto da parte di genitori che si sono ritrovati con bollette telefoniche astronomiche perché i figli si erano inconsapevolmente abbonati ad una suoneria o un altro servizio. Molti di questi siti prendono infatti di mira i giovani.
L'indagine è stata la seconda azione condotta insieme dalle autorità nazionali di tutta Europa. Nel 2007 15 paesi dell'UE e la Norvegia hanno condotto un'indagine analoga sui siti che vendono biglietti aerei.
Il commissario europeo per i Consumatori Meglena Kuneva ha confermato che ne seguiranno altre. "I risultati ottenuti indicano che la cooperazione su scala europea può fare veramente la differenza quando si tratta di ripulire un mercato nell'interesse dei consumatori."
Il mercato dei servizi per telefoni cellulari è in espansione e riflette il successo degli stessi cellulari. Nel 2007 il valore delle vendite di suonerie in Europa era stimato a 691 milioni di euro, incluse le vendite su Internet.
Austria, Ungheria e Romania hanno registrato il maggior numero di siti in violazione della normativa a tutela dei consumatori: 21 per ciascun paese. Francia e Lituania ne contavano 20, seguite da Belgio, Norvegia e Paesi Bassi, rispettivamente con 18, 17 e 16.
Tra le società multate in Italia figurano Telecom Italia, Vodafone, Fox Mobile e Tutto gratis.
(pubblicato originariamente in data 17.11.2009)