Un ‘diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva’, ma obbligatoria…
Breve commento alle conclusioni dell’Avvocato Generale C.G.C.E. Juliane Kokott del 19 novembre 2009 sulla obbligatorietà del tentativo di conciliazione presso il Co.Re.Com
Avv. Antonio M. Polito
Avv. Antonio M. Polito
Interessata da una questione pregiudiziale del Giudice di Pace di Ischia, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee (C.G.C.E.) si dovrà a breve pronunciare (cause C-317 – 320/08) sulla compatibilità tra la previsione dell’art.3 e 13 dell’Allegato A della delibera 173/07/CONS, che dichiara improcedibile il ricorso in sede giurisdizionale in materia di telecomunicazioni non preceduto dal tentativo di conciliazione presso il Corecom, e l’art.34 della direttiva 2002/22/CE, dedicato alla ‘Risoluzione extragiudiziale delle controversie’.
In particolare, il Giudice del rinvio, nel caso di specie, “vede nel carattere obbligatorio della conciliazione un ostacolo illegittimo alla tutela giurisdizionale”, motivo dell’interessamento in via pregiudiziale della Corte.
Il 19 novembre u.s. sono state dunque pubblicate le ‘conclusioni generali’ dell’Avvocato Generale (A.G.) Juliane Kokott che già ben rappresentano i termini della questione, che andiamo brevemente a commentare.
In realtà, la questione verte anche sulla impossibilità di adibire il Corecom da parte dei ricorrenti, ma limiteremo la nostra riflessione sulla parte che più direttamente riguarda l’organo conciliativo.
Preliminarmente, conviene richiamare il contenuto degli articoli oggetto di interpretazione.
. Il quarantasettesimo ‘considerando’ della direttiva 2002/22, relativo alla risoluzione delle controversie, è così formulato:
«[…] Devono essere definite procedure efficaci di risoluzione delle controversie insorte tra consumatori, da un lato, e dall’altro, le imprese che forniscono servizi di comunicazione accessibili al pubblico. Gli Stati membri dovrebbero tener pienamente conto della raccomandazione 98/257/CE della Commissione, del 30 marzo 1998, riguardante i principi applicabili agli organi responsabili dalla risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo».
Quindi, l’art. 34 della direttiva 2002/22, rubricato «Risoluzione extragiudiziale delle controversie», dispone quanto segue:
«1. Gli Stati membri provvedono affinché esistano procedure extragiudiziali trasparenti, semplici e poco costose per l’esame delle controversie irrisolte, in cui sono coinvolti i consumatori, relative alle questioni contemplate dalla presente direttiva. Gli Stati membri provvedono affinché tali procedure consentano un’equa e tempestiva risoluzione delle controversie e, nei casi giustificati, possono adottare un sistema di rimborso e/o di indennizzo. Gli Stati membri possono estendere gli obblighi di cui al presente paragrafo alle controversie che coinvolgono altri utenti finali.
2. Gli Stati membri provvedono affinché le rispettive legislazioni nazionali non ostacolino la creazione, a un adeguato livello territoriale, di uffici e servizi on line per l’accettazione di reclami, incaricati di facilitare l’accesso dei consumatori e degli utenti finali alle strutture di composizione delle controversie. [...]
4. Il presente articolo non pregiudica le procedure giudiziarie nazionali».
4. Il presente articolo non pregiudica le procedure giudiziarie nazionali».
L’ art. 3 dell’allegato A della delibera 173/07/CONS prevede invece quanto segue:
«1. Per le controversie di cui all’articolo 2 comma 1, il ricorso in sede giurisdizionale è improcedibile fino a che non sia stato esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi al Co.re.com [Comitato regionale per le comunicazioni] competente per territorio munito di delega a svolgere la funzione conciliativa, ovvero dinanzi agli organi di risoluzione extragiudiziale delle controversie di cui all’articolo 13.
2. Ove il Co.re.com territorialmente competente non sia titolare della delega di cui al comma 1, il tentativo obbligatorio di conciliazione dovrà essere esperito dinanzi agli organi di cui all’articolo 13.
3. Il termine per la conclusione della procedura conciliativa è di trenta giorni decorrenti dalla data di proposizione dell’istanza; dopo la scadenza di tale termine le parti possono proporre ricorso giurisdizionale anche ove la procedura non sia stata conclusa».
L’interpretazione della fattispecie da parte dell’Avvocato Generale si fonda, oltre che sull’esegesi testuale delle norme comunitarie, sul principio comunitario del “diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva”.
Dopo aver infatti sottolineato che la normativa comunitaria raccomanda procedure “trasparenti”, “semplici” e “poco costose”, finalizzate ad un’“equa” e “tempestiva” risoluzione delle controversie, l’A.G. fa subito presente come, in ogni caso, l’articolo della direttiva comunque non pregiudichi le “procedure giudiziarie nazionali” e dato che “il requisito […] [della] condizione di ricevibilità di un ricorso rientra nell’ambito della regolamentazione delle procedure giurisdizionali degli Stati membri, la questione non trova quindi esaustiva regolamentazione nella direttiva 2002/22” (punto 29 concl.). Pertanto, conclude l’A.G. sul punto, “se la risoluzione extragiudiziale delle controverse soddisfa i criteri di cui all’art.34 della direttiva 2002/22, vale a dire se essa è trasparente, semplice e poco costosa, allora la stessa direttiva non osta alla configurazione di una risoluzione obbligatoria delle controversie” (punto 30 concl.).
Nel caso di specie, allora, dato che la procedura innanzi al Co.Re.Com è gratuita e che la competenza del Co.Re.Com (ovvero di altri organismi di conciliazione) è stata disposta con disposizione di Legge, tali requisiti rispettano certamente le previsioni di cui alla direttiva comunitaria.
Ma ritorniamo al ‘principio di effettività’ della giurisdizione.
Dopo aver constatato che, effettivamente, “un ricorso giurisdizionale è irricevibile nel caso di mancato esperimento” del tentativo di conciliazione, che diviene pertanto formalmente obbligatorio prima di interessare l’Organo giudicante, l’A.G. ammette come “in questo modo viene posto un ulteriore ostacolo all’accesso alla tutela giurisdizionale” che diviene, nei fatti, “una limitazione dell’accesso alla tutela giurisdizionale”. “Di conseguenza”, conclude l’A.G., da questo punto di vista “sussiste una violazione del principio della tutela giurisdizionale effettiva” (punto 42).
Tuttavia, specificano le conclusioni, “il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva non si figura come prerogativa assoluta” ma può, al contrario, “soggiacere a restrizioni”, purché queste corrispondano ad “obiettivi di interesse generale” e non costituiscano, “rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti”.
Nel caso di specie, osserva quindi l’A.G., “in definitiva, tra lo scopo perseguito di una soluzione della controversia più rapida, con costi più contenuti e funzionale agli interessi[,] e i possibili svantaggi dell’obbligo di esperimento di una procedura di conciliazione obbligatoria[,] non sussiste alcuna sproporzione manifesta”, anche perché “si deve concordare con il governo italiano che una procedura di composizione extragiudiziale semplicemente facoltativa non sarebbe efficace tanto quanto una procedura obbligatoria”…
Da qui, conclude l’A.G., la procedura obbligatoria approntata dal governo italiano apparirebbe conforme all’art.34 Dir. 2002/22/CE.
Ma su tale concluso si rendono necessarie le seguenti riflessioni:
a) Nell’interesse di chi deve considerarsi ‘opportuna’ una certa procedura? Nell’‘interesse generale’, ovvero nell’interesse esclusivo dei consumatori, destinatari specifici della direttiva? Sembra che tale importante specificazione non venga sufficientemente affrontata dall’Illustre A.G.
E soprattutto, può davvero l’interesse del consumatore essere contratto in rapporto all’interesse contrario di non essere soggetto passivo di un’immediata azione giudiziaria, per evitare un contenzioso ed abbassare i propri costi di amministrazione? Di fatto, eccezion fatta per i provvedimenti d’urgenza ex art.700 C.p.c., che pacificamente non abbisognano di tentativo di conciliazione, l’azionabilità di ogni controversia viene rimandata di almeno 30 giorni…
b) In ogni caso, perché, se tale procedura dovrebbe agevolare una “efficace” e celere risoluzione delle controversie, non renderla facoltativa, nell’interesse, ancora una volta, del consumatore, che sarebbe (dovrebbe essere) libero di scegliere (e capire da solo) l’opportunità di intraprendere la strada che ritiene più opportuna?
Si dirà, a questo punto: ma la procedura, essendo gratuita, permette proprio la celere e ‘gratuita’ possibilità di avere un confronto con la controparte e far valere, innanzi ad un Collegio, le proprie ragioni senza spese di procedura e di difensori. Ma a questo, sarebbe agevole replicare che
c) Ammessa che quella della ‘gratuità’ e della self-defence sia una strada effettivamente produttiva per la reale difesa dei diritti del consumatore – utente (che di fatto, si trova come controparte sempre e comunque un legale professionista della Società convenuta…), in ogni caso, in assenza di accordo conciliativo, si ritrova puntualmente obbligato ad esperire una ordinaria causa civile, con tutti i condizionamenti economici del caso (costi procedura, spese legali, ecc. ecc.)…
Meglio e più lungimirante sarebbe stato, invece, prevedere un rito processuale speciale, celere e senza spese di procedura iniziali (come quello del Lavoro, operativo da oltre 35 anni…) che avrebbe rappresentato da un lato uno strumento concreto e sostanziale di tutela giudiziaria degli interessi dei consumatori, e dall’altro avrebbe obbligato le Società di Telecomunicazioni a rispondere sempre e comunque innanzi ad un’Autorità giudicante dello Stato.
Verificheremo all’esito della decisione della Commissione l’eventuale valutazione di tali importanti punti.
Verificheremo all’esito della decisione della Commissione l’eventuale valutazione di tali importanti punti.
(originariamente pubblicato in data 30.11.2009)
Nessun commento:
Posta un commento