E' apparso doveroso ricorrere alla famosa frase del filosofo situazionista francese, per compiere una breve riflessione su ciò che sta caratterizzando il dibattito italiano sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, sul quale non appare esagerato dire che si sta attuando un vero e proprio caso di 'pubblicità ingannevole' a danno dei cittadini/consumatori.
Chi scrive, giova precisarlo, ha una posizione, come si direbbe, ‘aperta’ sulla questione, sulla quale intende però comprenderne i reali termini di discussione.
Un primo elemento di confusione è che, nella maggior parte degli articoli giornalistici ma anche delle interviste a soggetti più ‘qualificati’, si parla dell'art. 18 come dell’articolo sulla ‘giusta causa’ del licenziamento...Verità del tutto parziale, in quanto l'articolo parla di ben 3 modalità di licenziamento, di cui solo una è definita ‘giusta causa’ (quella più grave, che giustifica il licenziamento ‘in tronco’ del lavoratore per gravi azioni commesse dallo stesso), mentre le altre due fanno riferimento a più blandi casi di 'giustificato motivo', di natura soggettiva (per azioni commesse dal lavoratore meno gravi del primo caso) o di natura oggettiva (per motivi economico/organizzativi dell'azienda). Quindi è sempre bene ricordare che, quando si parla indistintamente di ‘art.18’, si parla sempre di tre forme di licenziamento, molto diverse tra loro per gravità e presupposti.
Inoltre, l’art. 18 viene richiamato (da illustrissimi protagonisti del dibattito, come il Prof. Pietro Ichino e la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia) anche nei casi di ‘licenziamento discriminatoro’, per il quale, tutti dichiarano, la tutela del 18 ‘sarà mantenuta’... Peccato però che i casi di licenziamento discriminatorio non hanno affatto bisogno della tutela dell’art.18, atteso che tali licenziamenti sono radicalmente nulli per contrarietà a norme di Legge, la cui illegittimità esula pertanto dai motivi e dai limiti dell’applicazione dell’articolo dello Statuto... Un altro clamoroso caso, quindi, di ‘pubblicità ingannevole’ nell’impostazione del dibattito.
Altra clamorosa ‘bufala’, è quella per la quale la modifica dell'art. 18 “la pretenderebbe l'Unione Europea”. Anche in questo caso, si gioca artatamente sui diversi significati dell’art.18, e non si specifica che l'U.E. ha effettivamente chiesto quali strumenti l’Italia intendesse adottare per modificare i “licenziamenti per motivi economici” (lettera del novembre 2011 del commissario europeo Ollin Rehn, punti 17-21 del questionario allegato)... Anche in questo caso, dunque, è evidente che la questione sia relativa solo ad uno (licenziamento per giustificato motivo oggettivo) dei tre casi previsti dall'articolo: ma allora perché si parla sempre della modifica, quando non dell’abolizione, dell’art. 18 tutto intero, senza fare alcuna distinzione tra le sue diverse accezioni?
Altra forma di ‘pubblicità scorretta’ è poi quella relativa alla vulgata per la quale la tutela reale non esisterebbe in altri paesi dell'Europa... Che esista pacificamente in paesi come la Francia e la Germania, in Slovenia e nella Repubblica Ceca, appare argomento sufficiente per porre nel nulla questa vera e propria falsa notizia, peraltro di per sé non certo dirimente della questione (anche qualora fossimo gli unici ad avere tale tipo di tutela)?
Se poi passassimo alle motivazioni, diciamo così, ‘economiche’ poste alla base di un possibile intervento di modifica, secondo le quali la presenza dell’art.18 osterebbe ad una maggiore offerta di lavoro da parte delle aziende, sono state anch’esse recisamente sconfessate dal sondaggio Unioncamere - Excelsior del dicembre 2011 (consultabile sul sito Unioncamere.it), in cui è emerso come a malapena l’1% dei centomila imprenditori intervistati ha addotto ‘altri motivi’ di mancata crescita, tra cui potrebbe figurare anche l’applicazione dell’art.18. Al contrario, è emerso invece che il tasso maggiore di assunzione avviene sempre nelle aziende con più di 15 dipendenti, e quindi lì dove viene applicata la tutela dell’articolo incriminato...
Così come, ultimo argomento apparentemente ‘tecnico’ ma del tutto inverificabile, è quello secondo il quale, con la modifica dell’art.18, si avrebbe una tutela più ‘equilibrata’ tra i lavoratori c.d. ‘precari’ (‘poco tutelati’) e quelli con contratti ‘stabili’ (‘troppo tutelati’)… Anche in questo caso, oltre ad un’ennesima valutazione non analitica dei molteplici aspetti dell’articolo, si assiste ad un argomento non solo generico e non verificabile, ma ad un vero e proprio indimostrato ‘assunto’ ideologico, oltre che, lo si permetta, ad un odioso ed irresponsabile fomentare di uno scontro tra categorie di lavoratori di cui, in questi tempi, se ne farebbe volentieri a meno…
La ‘pubblicità ingannevole’ viene rigidamente sanzionata come pratica illegittima all’interno di un sistema di mercato, non tanto per motivi relativi alla ‘correttezza’ o meno di un comportamento contrattuale (principio generale valido in ogni rapporto commerciale), ma soprattutto in quanto è in grado di condizionare – su larga scala - la libera determinazione, e quindi la volontà, nelle scelte economiche dei soggetti destinatari di tale pratica.
Se, all’interno di un importante dibattito economico, culturale e politico, le informazioni che vengono diffuse alla cittadinanza hanno la caratteristica di essere imprecise, parziali, lì dove non palesemente false, lo stesso dibattito sarà falsato, fondandosi su elementi non corrispondenti al vero, come di conseguenza falsate saranno la libera determinazione ed il libero convincimento dei cittadini.
Se si ripulisse, dunque, l’importante dibattito sull’art. 18 dello Statuto dei lavoratori di tutte le ‘imprecisioni’, diciamo così, sopra descritte, si è certi che si compirebbe un importante passo in direzione della necessaria trasparenza per una corretta e consapevole formazione dell’opinione pubblica.
Ma forse il punto è proprio questo: siamo sicuri che tutti ne siano interessati?
Avv. Antonello Polito