Note su alcuni aspetti procedurali dopo il D. L. n.78/2010
L’intervento legislativo di cui all’art. 14, comma 33, del D.L. n.78/2010, convertito con L. n.122/2010, che ha inteso introdurre una lettura si direbbe ‘imperativa’, più che autentica, della natura della ‘tariffa integrata ambientale’ (T.I.A.) prevista dall’art.238 del D.Lgs. n. 152/2006 (cfr. articolo precedente), non ha mancato di incidere anche sugli aspetti più strettamente processuali della materia, specificando come “le controversie relative alla predetta tariffa, sorte successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, rientrano nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria”.
Da un certo punto di vista, la previsione sarebbe diretta e naturale conseguenza della interpretazione data dal legislatore: atteso che, a seconda della natura della ‘tariffa’, per pacifica interpretazione giurisprudenziale, la competenza giurisdizionale sarebbe del Giudice Ordinario (se avesse natura di ‘corrispettivo per un servizio’) ovvero del Giudice Tributario (se avesse natura di ‘tributo’), la previsione della competenza del Giudice Ordinario appare del tutto consequenziale, se non addirittura pleonastica.
Tuttavia, nella sua formulazione, tale specificazione pone già un primo ordine di problemi, ovvero: a quale ‘tariffa’ si riferisce la norma? Si direbbe, stando alla lettera dell’articolo, solo a quella prevista dal D. Lgs. 152/2006, ma se così effettivamente fosse, ciò potrebbe indurre a ritenere che:
a) per formulare le proprie richieste, si dovrebbe essere certi della tipologia di ‘tariffa’ applicata dall’Ente gestore del servizio, atteso che non tutti i gestori hanno nel tempo adottato la ‘tariffa’ di cui alla normativa del 2006, ma alcuni hanno continuato a riferirsi alla normativa precedente;
b) la promozione di un procedimento per l’ottenimento di un rimborso dell’IVA, dovrebbe incardinarsi innanzi al Giudice Ordinario per le richieste sulle voci successive al 2006 (in base alla tariffa di cui al D. Lgs. del 2006: cfr. lettera ‘a’), mentre sarebbe da incardinare innanzi al Giudice Tributario per quelle precedenti a tale data…
Ma così semplice, a ben vedere, la questione non è, atteso che, come sottolineato nella Circolare n.3 del 2010 del Ministero delle Finanze (cfr. articolo precedente), “si applicano anche alla TIA1 le nuove disposizioni recate dall’art. 14, comma 33, del D. L. n.78/2010”… Pertanto, sulla scorta di tale (ulteriore) ‘interpretazione’, secondo il parere del Ministero delle Finanze le domande di rimborso per i contributi IVA successive al maggio 2010 dovrebbero presentarsi innanzi al Giudice Ordinario anche per i contributi precedenti il 2007. Con il conseguente rischio che:
- in caso si adisca solo il Giudice Ordinario (per l’IVA pagata prima e dopo il 2007), ci si espone al rischio di una eccezione d’incompetenza del Giudice adito per la parte di IVA precedente il 2007;
- in caso si interpellino entrambi i Giudici (Tributario per la parte precedente il 2007, Ordinario per la parte successiva), ci si potrà vedere sollevare l’eccezione di incompetenza del primo in favore del secondo, anche per il periodo precedente il 2007…
Ma le incertezze non sono certo finite qui.
Dato che, per i suesposti motivi, non è dato sapere con sufficiente certezza quale sia la Giurisdizione competente, permangono dubbi anche sulle modalità di proposizione del rimborso, soprattutto per la presenza di delicati aspetti inerenti la decadenza dal diritto stesso.
La scelta del Giudice e, di conseguenza, del rito da applicare, infatti, al di là di aspetti meramente formali, trova soprattutto in un particolare una differenza sostanziale: quello del termine per la presentazione del ricorso.
Mentre infatti, innanzi al Giudice Ordinario, l’azione è soggetta ai normali termini di prescrizione (che, nel caso di specie, sarebbero di 10 anni, attesa la illegittimità – da cui l’ingiustificato arricchimento – dell’operato dell’Ente gestore), nel caso si adisse il Giudice Tributario l’azione sarebbe soggetta anche al termine di decadenza di cui all’art. 21 del D. Lgs. n.546/1992, corrispondenti a 60 giorni a partire dal dì della risposta di rigetto dell’Ente, ovvero dopo la formazione del silenzio-rigetto (che si formalizza dopo 90 gg. di silenzio dell’Ente dal dì della richiesta-messa in mora). La norma è infatti inerente il procedimento tributario e non dovrebbe, a rigor di logica e di Legge, interessare il processo innanzi al Giudice Ordinario.
Affrontati i precedenti aspetti preliminari, si può quindi entrare in altri aspetti più inerenti il merito del ricorso.
Un primo punto importante è quello relativo alla legittimazione passiva, ovvero il soggetto da convocare in giudizio.
La questione è opportuno che sia affrontata nel dettaglio, atteso che può aversi dubbio se richiedere il rimborso dell’IVA al soggetto che materialmente la richiede al contribuente (l’Ente gestore del servizio dei rifiuti), ovvero l’Organo del Ministero nel cui interesse viene versata (l’Ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate: cfr. da ultima, sent. Corte Cass. n.17601/2010). Sul punto, sarebbe sufficiente convenire in giudizio anche solo l’Ufficio locale, atteso che è quest’ultimo, secondo il Giudice delle Leggi, “l’unico ufficio legittimato a stare in giudizio”. Nel caso di specie, tuttavia, per i motivi che si evidenzieranno meglio dopo, data la facoltà, da parte dell’Ente gestore, di disapplicare le indicazioni applicative derivanti dalle circolari ministeriali, c’è a mio avviso la possibilità/opportunità di convenire in giudizio anche l’Ente gestore, proprio per questo suo onere/facoltà non correttamente esercitato, oltre che come più diretto ‘contraddittore’ del contribuente.
Ma questione di merito è anche quella collegata alla competenza giurisdizionale del Giudice adito.
A riguardo, potrebbe infatti porsi la seguente alternativa: adire comunque il Giudice Ordinario, giusta la perentoria indicazione normativa del recente D.L. del 2010, per rivendicare in tale sede la natura ‘tributaria’ della Tariffa, ovvero adire – esponendosi certamente ad un’eccezione preliminare di incompetenza, cfr. punto precedente – il Giudice Tributario, proprio in virtù della natura pubblicistica attribuita alla stessa?
Contrariamente a quello che potrebbe sembrare più semplice e, comunque, in ogni caso apparentemente più ‘prudente’, quantomeno per non essere soggetti all’immediata eccezione di incompetenza funzionale del Giudice da parte dei soggetti convenuti, i comuni principii processualistici dovrebbero imporre di adire il Giudice che si ritiene competente in virtù delle istanze promosse innanzi a Questi, e pertanto, nel nostro caso, quello Tributario. Ragionando a contrario, infatti, sarebbe ben illogico ribadire ed eccepire la natura ‘tributaria’ della Tariffa innanzi ad un Giudice (quello Ordinario), che si rivelerebbe manifestamente incompetente se accogliesse il presupposto stesso dell’istanza di rimborso… Sarebbe un paradosso logico e giuridico che, ritengo, porterebbe inevitabilmente al rigetto della domanda per manifesta incompetenza funzionale del Giudice adito.
Proseguendo quindi nell’analisi dei contenuti proponibili nell’istanza di rimborso, al di là di quelli strettamente di merito già affrontati nell’articolo precedente, da un punto di vista procedurale possono sollevarsi le seguenti, ulteriori istanze.
La prima, più semplice, è quella relativa all’efficacia giuridica da dare alla Circolare del Ministero delle Finanze sopra ricordata, che avrebbe, secondo l’Ente emanante, un’ulteriore ‘efficacia interpretativa’ del già citato disposto normativo (art. 14, co.33, D.L. n. 78/2010), quantomeno nei confronti dei contribuenti che si vedono negare le proprie richieste di rimborso proprio in base al richiamo a tale documento.
Contrariamente a quanto gli stessi Enti spesso rappresentino all’esterno nei rapporti con i loro contraddittori, dobbiamo ricordare che, per interpretazione giurisprudenziale pacifica (tra le ultime, cfr. V° sez. Cons. Stato, sentenza n. 7521 del 15 ottobre 2010), “le circolari amministrative sono atti diretti agli organi e uffici periferici ovvero sottordinati, che non hanno di per sé valore normativo o provvedimentale” e che, pertanto, non solo “tali atti di indirizzo interpretativo non sono vincolanti per i soggetti estranei all'amministrazione”, ma, aspetto per noi ulteriormente interessante, “per gli organi destinatari esse sono vincolanti solo se legittime, potendo essere disapplicate qualora siano contra legem (C. Stato, sez. IV, 27-11-2000, n. 6299)” (sent. Cons. Stato, cit.).
In virtù di tale specificazione, pertanto, non solo l’interpretazione che abbiamo definito ‘ulteriormente estensiva’ da parte del Ministero delle Finanze non potrà avere alcun peso nella valutazioni giuridiche di qualsiasi Giudice adito, sia esso Ordinario, ovvero Tributario; ma in più, ci dà l’ulteriore possibilità di poter chiedere, anzi pretendere la disapplicazione di tale interpretazione di fatto gerarchicamente proposta agli Enti gestori, lì dove si possa dimostrare la conflittualità di tale orientamento interpretativo con una norma di Legge.
Ma qual è, nel nostro caso, questa norma?
La risposta a questa domanda aprirà un ultimo, e più complesso argomento di natura procedimentale.
Se appare abbastanza semplice, sul punto, ribadire una sorta di ‘principio generale’ in base al quale, come correttamente specificato anche dalla Corte di Cassazione, la natura di una ‘tariffa’ non può essere determinata dal suo nomen iuris, bensì dalle caratteristiche della stessa (cfr. articolo precedente), tuttavia individuare una ‘norma imperativa di Legge’ da opporre sia alla norma di ‘interpretazione imperativa’ del 2010 che alla Circolare ministeriale, può apparire, nel caso di specie, problematico.
Ma tale difficoltà, la si ritrova solo su norme di livello nazionale.
Se al contrario, invece, rivolgessimo la nostra attenzione verso fonti normative di natura comunitaria, il risultato sarebbe ben differente, atteso che troveremmo la Direttiva n. 77/388/CEE del 17 maggio 1977 (recepita in Italia dai D.P.R. nn. 24 e 94 del 1979), interamente dedicata alla disciplina dell’imposta sul valore aggiunto (I.V.A.), e successive integrazioni e modificazioni, che, all’art.4, n.5, specifica come tutti gli “organismi di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attività o operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni”, salvo che (comma II), in ciò facendo, non si creino “distorsioni di concorrenza di una certa importanza”, palesemente insussistenti nel nostro caso atteso che “il servizio di smaltimento dei rifiuti è svolto dal Comune in regime di privativa” (cfr. Corte Costituzionale, sent. n. 238/2009, ampiamente citata nell’articolo precedente).
La presenza di tale normativa, di livello gerarchico addirittura superiore rispetto a quelle nazionali e, ça va sans dire, pienamente applicabile a livello interno, ha così diverse conseguenze sulle possibili richieste da formulare all’Organo Giudicante (O. G.).
La prima, è rappresentata dalla possibilità di chiedere direttamente all’O.G. la disapplicazione della norma interna (art.14, co.33, D.L. 78/2010) per manifesto contrasto con quella comunitaria, secondo i più comuni ed accettati principi derivanti dalla gerarchia delle fonti.
La seconda, in subordine, è quella di chiedere la sospensione della causa e contemporaneamente la rimessione della questione alla Corte Costituzionale per sollevare la questione di legittimità costituzionale della citata norma del D.L. 2010 in quanto contrastante con un vincolo derivante dall’ordinamento comunitario, giusta applicazione dell’art. 117, co.I, della Carta costituzionale (cfr. Corte Cost., sent. n. 406/2005).
La terza, infine, sempre in caso di rigetto della prima istanza, è quella di richiedere all’O.G. la rimessione (N.B.: comunque facoltativa) della causa innanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per farla esprimere in ordine ad un giudizio di compatibilità tra la normativa comunitaria e quella interna.
E’ opportuno ricordare, sul punto, che tale obiettivo potrà essere ottenuto attraverso lo strumento del c.d. ‘rinvio pregiudiziale’ previsto dall’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (ex art. 234 Trattato istitutivo della C.E.), e del suo uso (indiretto) per la pronuncia di compatibilità tra una norma comunitaria ed il contenuto di una norma di diritto interno.
Avv. Antonio M. Polito
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